Una verità che non tutti conoscono è che le streghe sono in grado di sedurre ma, difficilmente, possono essere sedotte.
E questo può rivelarsi un grosso problema esistenziale nella vita sentimentale di una strega.
Per lei non ci sono fate provvidenziali, come la Smemorina di Cenerentola, in grado di produrre incantesimi ad personam perché, nella scala gerarchica dei professionisti della magia, le streghe sono in cima alla piramide e, come avviene di solito per chi occupa un posto di potere di tale rilevanza, (e stiamo ora, per l’appunto, parlando di poteri straordinari) si è sempre molto soli dal momento che nessun’altro possiede le stesse capacità.
Nessuno è potente come una strega.
Nessuno è solo come una strega.

Bisogna però anche dire che noi streghe non siamo tipe facili d’accontentare.
Non basta un bel sorriso, una voce suadente, uno sguardo tenebroso o un bel fondo schiena, per produrre il miracolo dell’innamoramento.
Occorre molto di più.
Occorre il carisma, ma quello vero, non quello dell’imbonitore o dell’illusionista, no, qui stiamo parlando dell’allure, non nell’accezione di una gradevole presenza fisica ma quel quid che si può paragonare solo alla mistica luminescenza dell’aura di un Buddha.
Ecco perché  noi streghe non militiamo nei fans club.
E neppure nei palazzi del potere.
Siamo creature superiori, geneticamente immuni da qualsiasi tipo di fascinazione: siamo noi le seduttrici.

Ma tutto questo sempre non basta perché noi siamo pur sempre creature di genere femminile e come tali agognamo all’amore, a quello da romanzo, alla passione ineluttabile a cui non ci si può ribellare, a cui si è costrette a soggiacere, nonostante sia facile, per quelle della nostra specie, con uno sguardo far inginocchiare ai nostri piedi qualsiasi uomo.

Una sfida a cui una strega dotata di temperamento, e di gusto per il rischio, non può sottrarsi.
Perché innamorarsi è sempre un azzardo, e quelle di noi a cui è accaduto hanno poi pagato un prezzo altissimo, con la perdita dei poteri ed il declassamento a semplici femmine, ma continuando a conservare, intatto nella memoria, l’impietoso ricordo del perduto splendore dell’antico potere. Una crudele punizione aggiuntiva se la nostra avventura umana si è rivelata non all’altezza delle nostre aspettative, magari rimpiangendo per il resto di una vita divenuta mortale, quell’età dell’oro in cui eravamo estranee ad ogni sorta di coinvolgimento emotivo che avrebbe potuto fuorviarci dal  nostro luminoso, e già tracciato, destino.

Alla fine di questo capitolo mi rendo pur conto che non ho in realtà alcun pratico consiglio da fornire alle mie consorelle, così come a tutte le altre donne desiderose di provare le gioie e gli strazi dell’amore, che una volta che si è in balia di questo potere misterioso, così ardentemente evocato, altro non resta che coglierne l’esperienza e consolidarsi nella convinzione finale che, se tutto questo rischioso trambusto non  fosse stato così consapevolmente perseguito, mai avremmo potuto tentare una personale risposta all’irrisolto dilemma: è più felice chi ama o chi si lascia amare?