Piani

Olimpia, dalla finestra, aveva visto Angie Rose rientrare, così l’attendeva sull’uscio e, senza darle il tempo di profferire parola, la tirò dentro.
«Devo mostrarti una cosa, ma tu, però, non devi dirlo a nessuno.» Disse cavando fuori dalla credenza della cucina una grossa sacca di cuoio verde.
«Guarda!» Esclamò, mostrandole la montagna di banconote al suo interno.
Angie Rose rimase un momento a fissare stupita quella ricchezza ordinatamente stipata, poi ritrovando la voce, domandò: «Da dove proviene tutto questo denaro?»
«Non lo so. La borsa l’ho trovata stamattina, quando sono uscita a gettare la spazzatura. Era sotterrata in una buca nel cortile, ma  forse non troppo in profondità. La pioggia ha smosso il terreno e un manico ne è fuoriuscito. È stato quello che ha attirato la mia attenzione. Ho scavato un pochino e tirato su senza fatica.» Spiegò eccitata Olimpia.
«Evidentemente chi l’ha nascosta aveva una gran fretta. Magari stava fuggendo. Ad ogni modo questi soldi non puoi tenerli, sicuramente sono il provento di qualche malaffare. Devi consegnarli alla polizia!»
A quelle parole, Olimpia indietreggiò, stringendo la borsa al petto: «Cosa dici? Pensavo mi potessi fidare di te. Che fossi mia amica.» Mormorò incredula, guardandola con sospetto.
«Sono tua amica!» Ribadì con fermezza Angie Rose «Ma questi soldi devi consegnarli alla polizia, perché chi li ha nascosti tornerà a riprenderseli e non trovandoli verrà a cercarli qui, in questo palazzo. Stai mettendo in pericolo la tua vita e quella di tutti noi, Olimpia.»
«Questo denaro è un dono della provvidenza. Potrò usarli per un bel po’ di cose, come il trasporto di Bob per trasferirci da Rose in California o da Margareth in Arizona. E ancora ne avanzerebbero per una casetta e una polizza sanitaria per entrambi. Siamo vecchi, non abbiamo troppe pretese.» Poi, guardandola con aria furba, aggiunse: «Ce ne sarà anche per te, se starai dalla mia parte.»
Angie Rose scosse il capo in segno di diniego: «Non miro ai soldi ma a farti ragionare sulle spiacevoli conseguenze che potrebbero scaturire da questa situazione se non li restituisci. Devi portare la borsa alla polizia e devi farlo subito, prima che quelli vengano a cercarla casa per casa. Vuoi far correre rischi anche a Bob?»
«No.» Sussurrò Olimpia, lasciando cadere la borsa sul tavolo.
Sollevata, Angie Rose disse con dolcezza: «Ti accompagno alla polizia. Salgo su a prendere il mio trolley per trasportare la sacca col denaro, daremo meno nell’occhio, e intanto telefono per un taxi.»
Olimpia fece cenno di si, ma quando la ragazza fu sul pianerottolo, chiuse la porta col chiavistello.
«Stai alla larga dalla mia casa o te ne pentirai.» Minacciò da dietro la porta sbarrata

Angie Rose ed Hamlet quella sera giunsero in ritardo al ristorante, dove Gina, Jean Baptiste, Marta e Apache, erano intenti a cenare tutti insieme, come di consueto, prima dell’apertura del locale. Al suo ingresso Marta andò subito in cucina ad apparecchiare il suo posto con le pietanze tenute in caldo, mentre Hamlet le andava dietro festoso, già pregustando i bocconcini in serbo per lui.
«Eravamo preoccupati di non vederti arrivare, perché di solito sei sempre molto puntuale. Tutto bene?» Domandò Gina, alla quale non era sfuggita l’espressione pensierosa nello sguardo.
«A dire il vero… non troppo.» Rispose, con un sorriso imbarazzato.
Apache si alzò per versarle un generoso bicchiere di vino rosso: «Butta fuori il rospo, piccola.» La spronò,  incoraggiante.
Lei lo guardò con gratitudine, ma scosse il capo: «Ho promesso di non dir nulla.»
«Ok.» Concordò lui, tornando a sedersi «Ma se avessi bisogno di un consiglio o di un aiuto… noi ci siamo.»
«Hai ragione, Angie Rose, la parola data va mantenuta.» Intervenne bruscamente Gina: «Ma se riguarda un problema di cui tu non trovi la soluzione, e di quella soluzione hai invece un disperato bisogno, significa che la faccenda ti tocca personalmente, e rimanendo fedele alla regola del silenzio metti il tuo destino nelle mani dell’altro. Riflettici.»
Quel discorso, per certi versi duro, basava su una logica rigorosa che portò Angie Rose a considerare sotto una nuova luce l’intera vicenda, perché era vero che quella faccenda la riguardava personalmente, e non era solo il suo destino ad essere nelle mani di Olimpia, ma anche quello di tutti gli altri condomini. Mantenere la promessa l’avrebbe resa sua complice.
Così Angie Rose raccontò la storia della borsa trovata da Olimpia Collins.

«…ho creduto di averla convinta, ma quando sono uscita ha sbarrato la porta con il chiavistello.» Terminò il suo racconto, e poi disse. «Non voglio che le accada nulla di male, ma cosa posso fare? Denunciarla? Non me la sento. Senza di lei, Bob, il marito rimarrebbe solo e  probabilmente finirebbe in un ospizio. Olimpia è una donna perbene ma molto  provata dalla vita, e la vista di tutto quel denaro non la fa ragionare, ma è innegabile che con la sua testardaggine sta mettendo a repentaglio la sua vita e quella di tutti gli altri inquilini.» Concluse angosciata.
«Intanto, finché la faccenda non si risolve puoi venire a stare da me.» Le propose Gina. «Ho una casa grande e spazio in abbondanza anche per Hamlet.» Poi, guardandola negli occhi aggiunse: «Non riuscirei a dormire sapendoti in pericolo quindi prendila come la richiesta di un favore personale.
«Gina ha ragione.» Convenne Marta «Te lo avrei proposto anch’io se a casa mia ci fosse un angolo libero.»
Angie Rose, le sorrise grata.
«Ad ogni modo bisogna trovare una soluzione prima che accada il peggio. Una denuncia anonima?» Suggerì Jean Baptiste «E’ una vecchia signora, di cosa può venire incriminata?»
«Di complicità, ad esempio.» Rispose Gina
«Quei soldi non li ha mica rubati lei!» Ribadì Jean Baptiste
«Ma non li ha neppure restituiti. Appropriazione indebita, anche questo è un reato» Sottolineò Gina
«Angie Rose, però, non intende denunciarla, quindi bisogna trovare un’altra soluzione.» Intervenne Marta, riportando tutti al nocciolo del problema.
«Andrò io a recuperare quella borsa.» Disse Apache, che fino a quel momento era rimasto in silenzio. «Scalare l’appartamento di un secondo piano per me sarà un gioco da ragazzi, cosi come entrare in casa dalla finestra, praticando un foro nel vetro in prossimità della maniglia, con l’ausilio di una ventosa ed un diamante. L’anello di Gina  può benissimo fare al caso…e  poi uno sturalavandino…di sicuro ne avremo in cucina.» Guardò Jean Baptiste che parve non aver afferrato il senso della richiesta e lo fissava con aria smarrita.
«Una ventosa.» Specificò Apache.
«Ventouse! Oui oui, bien sur.» Confermò lo chef, con un largo sorriso.
«Perfetto, abbiamo tutto quello che ci occorre, allora possiamo passare… »
Gina lo interruppe «E se chi ha nascosto la borsa si fosse già messo in azione? Se nel frattempo avesse scoperto che è stata Olimpia Collins ad averla?»
«Gina ha ragione, Apache.» Disse Angie Rose «Non sappiamo cosa è accaduto in questo lasso di tempo, e neppure voglio che tu ti ponga in una situazione di pericolo. Domani troverò argomenti più convincenti per indurla ad andare alla polizia.»
«Domani potrebbe essere tardi.» Ribadì lui in tono deciso «Se davvero ti sta a cuore l’incolumità della tua amica non abbiamo tempo da perdere.»
Angie Rose guardò Gina che assenti: «Chiamerò Lucy per sostituirti ai tavoli.» Si sfilò l’anello col diamante che consegnò ad Apache: «Infrangerei con la mia voce quella finestra se fossi certa di non far rumore.»
«Lo so.» Rispose lui, sfiorandole una mano.
«Anche Hamlet è della partita?» Domandò Marta, indicando il cane accucciato ai suoi piedi che sentendosi chiamato in causa aveva aperto gli occhi «Altrimenti posso badarci io. Mi fermo a dormire qui e domattina, in tutta tranquillità, Angie Rose può venire a riprenderlo.»
«Preferirei venisse con noi, daremo meno nell’occhio. Una coppia che porta a spasso il cane non desta sospetti, e magari all’occorrenza Hamlet può esserci d’aiuto.» Suggerì Apache
«Certo.» Convenne Angie Rose infilando il collare al cane che alla prospettiva di quell’uscita fuori programma, abbaiava festoso.
Jean Baptiste, nel frattempo, era tornato dalla cucina con uno sturalavandino, esibito come un trofeo, che la ragazza occultò nella sua capace borsa

Raggiunsero il Queens in taxi, ma scesero un isolato prima e proseguirono a piedi per non destare la curiosità degli inquilini, in particolare quella di Olimpia Collins, anche se la presenza di Apache al suo fianco non sarebbe passata inosservata, poiché la sua fisicità s’imponeva allo sguardo. Ma questo avrebbe potuto essere un punto di vantaggio, la prova, qualunque cosa fosse successa, o dovesse succedere, della loro estraneità ai fatti, perché la prima preoccupazione di chi vuole commettere un reato è quello di rendersi irriconoscibile, e per Apache, questo, era davvero difficile. Oltretutto la sua zoppia, che volutamente ora accentuava per quella messinscena, lo avrebbe messo al riparo da qualsiasi sospetto di un suo coinvolgimento nel furto.
Giunti al cancello condominiale, Angie Rose guardò verso la finestra del secondo piano sperando di scorgere l’ombra di Olimpia dietro i vetri: quello sarebbe stato l’indizio che tutto era nella normalità. Ma lei non c’era e la luce era spenta, e questo la precipitò nell’angoscia perché Olimpia aveva l’abitudine di tenere sempre accesa una lampada nella camera di Bob. E la finestra era appunto quella.
«Potrebbe essere uscita dimenticandosi di accendere la luce.» Ipotizzò, Apache, per tranquillizzarla.
Angie Rose respinse con forza questa supposizione «Olimpia non esce mai a quest’ora così come non dimentica mai di accendere la lampada in camera del marito. E questo non fa presagire nulla di buono. Andrò da lei per verificare che sia tutto a posto.»
«Mi sembrava di aver capito che non gradisse più la tua presenza, probabile quindi che neppure ti apra.»
«Riuscirò a farmi aprire.» Disse in tono deciso: « E’ una precauzione necessaria prima che tu t’introduca nel suo appartamento. Io e Hamlet andremo a verificare.» Era lei ora a gestire la situazione.
Apache alzò il pollice in segno di approvazione.

Angie Rose salì di corsa le scale fino al secondo piano insolitamente silenzioso senza l’alto volume della radio di Olimpia. Bussò ripetutamente, ma senza esito. Fu l’inquilina della porta accanto, Helen Baker, a darle la notizia che Olimpia era al  Queens Center Hospital perché Bob aveva avuto una crisi respiratoria.
La ringraziò per quella informazione che almeno, al momento, la rassicurava sulla sorte dei Collins: erano al Queens Hospital un luogo di gran lunga più sicuro della loro casa. Scese a comunicare la notizia ad Apache, ed insieme stabilirono che questo facilitava il loro progetto perché nella casa vuota lui avrebbe agito con minor affanno. Seduti ad una tavola calda ripassarono il piano: Apache sarebbe penetrato dalla finestra della cucina che s’affacciava sul cortiletto interno privo d’illuminazione, avvalendosi del sostegno di un alberello ibrido i cui rami più alti quasi toccavano il davanzale della finestra di Olimpia. Una volta entrato avrebbe preso la sacca di cuoio verde nella prima anta in basso a destra della credenza in cucina, perché era lì che Olimpia l’aveva nascosta. Una volta recuperata la borsa si sarebbe diretto alla stazione dei taxi per far ritorno a Brooklyn, dove abitava. Il giorno dopo, in maniera anonima, avrebbe provveduto a recapitare la sacca coi soldi alla polizia.
Lei insistette per una sua partecipazione più attiva al piano: «Non è giusto che sia tu solo a rischiare per un qualcosa che neppure ti riguarda».
«Ma riguarda te». Ribadì lui, senza incertezze.
La ragazza accennò un sorriso che non riuscì, però, a nascondere la sua preoccupazione. Apache se ne accorse e le strinse forte la mano, poi sottovoce e con aria da cospiratore, cercò di rassicurarla: «Tranquilla non corro alcun pericolo perché il nostro piano è assolutamente perfetto.»
«Quasi perfetto.» Lo corresse lei «perché non abbiamo provveduto ad un paio di guanti per non lasciare impronte.»
«Non ci servono. Olimpia non andrà di certo a denunciare la scomparsa di una borsa piena di soldi che non le appartiene ma nasconde in casa. Penserà che gli autori del furto siano gli stessi malviventi a cui lei l’ha sottratta. Piuttosto mi toccherà creare un po’ di scompiglio negli armadi per non farle sospettare che sei tu il mandante: l’unica a sapere dove la sacca è nascosta.»
Uscirono dalla tavola calda che era già buio. Percorsero un tratto di strada affiancati, con Hamlet che teneva il loro stesso passo, quasi avesse compreso la complessità del momento. Qualche metro prima del cancello condominiale si salutarono.
Angie Rose perorò di nuovo, appassionatamente, per un suo coinvolgimento nell’azione, ma Apache fu ancora una volta irremovibile: «Durante la mia carriera di stunt man ho scalato grattacieli e profanato finestre, alcune pure in fiamme, quindi cosa vuoi che sia per me arrampicarmi a quella di un secondo piano?» Concluse in tono scherzoso. Poi, tornato serio, la tranquillizzò un’ultima volta: «Andrà tutto come previsto, perché il nostro piano è assolutamente perfetto.»
Lei fece cenno di si col capo. «Promettimi che se qualcosa non fila nel verso giusto troverai il modo di farmelo sapere. Io e Hamlet saremo due sentinelle in allerta.»
«Promesso, piccola.» La rassicurò Apache allontanandosi nel buio.