Sesta parte
Franca stringeva quella bimbetta tra le braccia e le dava tutto il suo amore, la riempiva di coccole e la viziava senza remore.
Essere nonna le dava la libertà di dare tutto il suo affetto alla nipotina senza preoccuparsi della sua educazione, del suo futuro come aveva dovuto fare con i suoi figli. I viaggi e i soggiorni a Firenze aumenta-rono con la scusa di aiutare Marisa che, tra l’altro, non aveva bisogno di nessun aiuto. Intanto Nino e Marilda se la cavavano benissimo e godevano di quella libertà che era concessa ai giovani.
Ormai i tempi erano cambiati, e anche velocemente.
Entrambi avevano trovato un buon lavoro. Lavoravano nel porto di Genova, al Silos Granario tra navi cariche di cereali, camion, polvere e rumore. Loro erano negli uffici e la paga era buona.
Nino si era ambientato bene e faceva carriera, Marilda, al contrario, odiava quel lavoro di segretaria, la macchina da scrivere, il centrali-no. Ma i suoi pensieri erano altrove: infatti aveva cominciato a fre-quentare uno studente di medicina che, pur essendo di Sestri, era di-verso dagli altri suoi amici.
Amava l’opera e la musica classica, frequentava i cineforum, le con-ferenze. Marilda si adeguò a una vita da intellettuale anche se, a vol-te, si annoiava a vedere certi film così detti “impegnati”, ma poté co-noscere quelli della Nouvelle Vague e soprattutto Truffaut.
Nonostante le differenze tra di loro, si innamorarono e decisero di sposarsi appena lui si fosse laureato.
Nino, oltre al lavoro, aveva molti interessi, faceva molti viaggi con i suoi amici, soprattutto nei paesi dell’Est dove le ragazze apprezzava-no i ragazzi italiani. Franca, che al figlio maschio aveva sempre riservato un trattamento speciale, gli forniva calze di nylon e altri pic-coli souvenir che gli avrebbero spianato la strada. Lui, inoltre, era un bravo musicista, componeva canzoni e suonava la fisarmonica in un gruppo che si chiamava “Los Grigos”; si esibiva alle sagre dei paesi limitrofi e nei nights di Sestri riscuotendo un discreto successo.
Franca si stava rendendo conto che lei e Vittorio sarebbero rimasti soli a Sestri: dopo Marisa, che felicemente viveva a Firenze, Marilda sarebbe andata ad abitare a Genova dove aveva il lavoro e dove già abitava il suo fidanzato.
Nino, stanco di fare il pendolare, era sempre più dell’idea che prima o poi avrebbe lasciato Sestri per la grande città.
Così Franca e Vittorio decisero di accettare l’offerta dell’Avvocato Albertoni di una casa vicino al porto dove Vittorio, in un grande palazzo moderno, pieno di uffici, avrebbe potuto lavorare come custo-de. Lasciarono Sestri, gli amici, le vecchie abitudini, le loro radici per una vita nuova tutta da inventare.-
La vita cittadina era completamente diversa da quella di paese alla quale erano abituati Franca e Vittorio.
Lui si ambientò subito, girava alla scoperta dei vicoli, dei bei palazzi, quando poteva andava a vedere le operette che erano sempre state la sua passione. Cercava di coinvolgere Franca ma lei se ne stava chiu-sa in casa e usciva solo quando era strettamente necessario: la messa, la spesa, le visite agli Albertoni.
Lui era ormai vecchio e lei le teneva compagnia parlando dei vecchi tempi delle loro vite e, come aveva già fatto tanti anni prima con la mamma, lo accompagnò dolcemente alla morte.
Non finirono i contatti con quella famiglia che era stata tanto impor-tante per lei e spesso si scambiavano visite, si incontravano ai matri-moni, alle comunioni e ai funerali.
Piano piano la depressione si impossessò di Franca, lei che era stata sempre allegra, piena di vita, si ritrovò inutile, demotivata nonostante tutta la famiglia le si stringesse intorno. Fu seguita da uno psichiatra
prese le medicine che le prescriveva ma spesso si rifugiava nella chiesetta vicino a casa e Vittorio o i figli la trovavano in lacrime.
Era un grande dolore per tutti vederla in quelle condizioni e nessuno riusciva ad accettare questa malattia subdola, invisibile ma che ti ro-vina la vita. Si accorse di lei il Parroco della Chiesa dove lei si rifu-giava. Era un prete operaio che, oltre ai suoi doveri ecclesiastici, la-vorava per aiutare i poveri.
Si chiamava Don Federico e fu lui che aiutò Franca a uscire dalla de-pressione. Le affidò la cura della Chiesa, l’assistenza ai poveri della Parrocchia, la visita ai malati
Nel 1970 un altro personaggio entrò nella vita di Franca.
Lo chiamavano il “Prete Scomodo”: era don Andrea Gallo, cacciato dalla sua Parrocchia al Carmine dall’allora Cardinale Siri.
Don Andrea si era sempre occupato di emarginati, carcerati, prostitu-te, tossici ma questo suo atteggiamento disturbava il Clero e la “Ge-nova Bene”. Lui era battagliero, predicava per una Chiesa povera che doveva aiutare i più bisognosi ma con i fatti e non con la solita reto-rica. Trovò rifugio presso Don Federico e i locali adiacenti alla Chie-sa si riempirono di persone che avevano bisogno di aiuto, di un posto per dormire e mangiare.
Franca ritornò quella di prima, la casa era aperta per tutti: poveri di-sperati che Don Gallo raccattava di notte nei vicoli e nell’angiporto e portava nei locali vicino alla Chiesa.
Nacque così la Comunità di San Benedetto al Porto.
Franca e Vittorio erano schierati in prima linea per offrire quello che potevano: cibo, casa per chi voleva un po’ di tranquillità dal caos che regnava nei locali comuni, affetto e conforto a quei poveri ragazzi sfortunati.
I figli erano un po’ preoccupati per quello che stava succedendo in casa dei loro genitori ma anche loro furono coinvolti da questo ambiente e da quei Sacerdoti fuori del comune.
La Comunità di San Benedetto divenne un centro di aggregazione molto attivo a Genova: tanti erano gli assistiti ma anche i volontari.
Con la partecipazione di tutti vennero aperti una tipografia, una libre-ria, un ristorante e ciascuno, secondo le proprie capacità, aveva un lavoro nel quale impegnarsi.
Non era facile per i due Sacerdoti tenere tutti a bada e Franca, certe mattine, era costretta ad andare svegliare Don Gallo che doveva dire la Messa. Lo trovava addormentato alla scrivania, sfinito per i collo-qui con persone in crisi, ragazzi che rischiavano la vita per un’ over-dose, prostitute che fuggivano dai loro protettori.
Fantascienza per Franca, un mondo con il quale mai avrebbe imma-ginato di venire a contatto.
Però vedeva i risultati di tanto impegno, ammirava sempre di più tutte quelle persone che offrivano il loro aiuto ai più derelitti della terra e non faceva più differenze tra nessuno
Lei e Vittorio avevano capito lo spirito di quella Comunità e lo vive-vano fino in fondo. Intanto la loro vita famigliare andava bene: era arrivato un altro nipotino, i figli si erano sposati ed erano felici.
Capitava spesso che si riunissero tutti a Sestri Levante: il richiamo alle radici era sempre molto presente in tutti loro.
Purtroppo tante cose erano cambiate, tanti amici e parenti non c’ era-no più, ma erano giornate meravigliose.
Fu un periodo sereno e Franca aveva superato i settanta anni con an-cora tanti progetti e voglia di vivere.
Vittorio se ne sarebbe stato anche più tranquillo a godersi la vec-chiaia, farsi delle belle dormite davanti alla TV, qualche passeggiata
ma Franca non glielo permetteva.
Così si ritrovava in campagna a fare marmellate, passate di pomodori in quantità industriale che poi regalavano a tutti.
Faceva piccole commissioni per la Comunità, a Natale era lui che fa-ceva il presepe e raccoglieva le offerte che gli venivano regolarmente fregate da un ragazzo balordo che lui non denunciò mai e che diven-ne suo amico. Lo aiutò a uscire dal tunnel della droga, forse era la prima volta che qualcuno gli voleva bene.
Erano una bella coppia di vecchietti Franca e Vittorio, da quasi cin-quanta anni stavano insieme.
Ora, dopo una vita di lavoro e di risparmi decisero di comprarsi una casa.
Non avevano mai avuto una casa di loro proprietà, anzi, avevano spesso dovuto dividere la loro con altre persone o abbandonarla a chi poteva permettersi di comprarla.
Con l’aiuto di Nino trovarono un bell’appartamentino vicino ai figli e anche alla Chiesa di San Benedetto.
Lo comprarono e cominciarono ad arredarlo. I vecchi mobili che non stavano nella piccola casa furono regalati a famiglie di extracomuni-tari che abitavano nei vicoli.
Era un po’ triste doversi privare di cose che erano state con loro un vita e, come sempre succede nei traslochi, ci si libera di oggetti dei quali si sentirà la mancanza.
Infatti Franca e Vittorio si ricordarono dei quaderni e delle pagelle dei figli che avevano lasciato chissà dove, di un vecchio leudo co-struito con maestria da un loro amico e che faceva bella mostra di sé nella casa sul mare. Certi oggetti di valore, sicuramente regalati dagli Albertoni, li avevano venduti nei momenti difficili.
Ritrovarono vecchie foto che conservarono gelosamente.
Mentre, in compagnia dei figli che l’aiutavano, Franca preparava le cose per il trasloco pensava alla sua vita e un giorno se ne uscì con la frase:
– La mia vita è stata come un romanzo; se fossi capace mi piacerebbe scriverlo-.
Aveva raggiunto gli obbiettivi fondamentali che si era posta, aveva lottato per questo e forse sarebbe riuscita anche a narrare la storia della sua vita.
Non ne ebbe il tempo.
Era la Pasqua del 1986 e tutta la famiglia Nicolini si era riunita per un ultimo pranzo nella vecchia casa prima del trasloco. Anche i nipo-tini di Firenze erano venuti per festeggiare i nonni.
Franca aveva preparato i suoi fantastici ravioli ed era felice di vedere l’armonia che c’era nella sua famiglia. Uno di quei momenti che ti porta a pensare: ebbene sì, ci sono riuscita

Dopo quella Pasqua le cose precipitarono.
Cominciò Franca che per via di certi disturbi dovette fare un’ ecogra-fia e la diagnosi fu terribile: cancro al fegato.
Ricoverata all’Ospedale, lei che aveva sempre avuto il terrore delle malattie, si comportò in modo dignitoso e, pur sapendo la gravità del suo male, non si lamentò mai davanti al marito e ai figli.
Morì nella nuova casa, in un letto che le era estraneo, ma con tutti i suoi cari intorno.
Al suo funerale, nella Chiesa di San Benedetto, oltre ai parenti e amici, c’era tutta la Comunità e i ragazzi le cantarono “Fratello Sole e Sorella Luna”, la sua canzone preferita.
Dopo sei mesi anche Vittorio morì: non poteva vivere senza la sua Franca.
Ora sono sepolti insieme al Cimitero di Sestri e ci sorridono sempre

FINE