Mi fermo davanti alla porta della stanza. È metallica, con un piccolo oblò all’altezza del viso che permette di guardare dentro. L’uomo che viene dietro di me nota il vetro e mi lancia un’occhiata interrogativa.
«È monodirezionale» gli spiego, e apro la porta.
Dentro il locale è di un tenue colore azzurrino, da ospedale. C’è un tavolo, alcune sedie, un divanetto appoggiato alla parete più corta, una piccola libreria. Alcuni quadri sui muri, raffiguranti paesaggi della Terra. Ovviamente nessuna finestra.
Tutti gli oggetti di arredamento sono di una plastica resistente e leggera. Tavolo e divano sono fissati a terra con dei bulloni metallici.
Dietro al tavolo è seduto un uomo. Indossa una tuta beige, l’abbigliamento di riposo della base, niente abiti da carcerato, nulla che possa dare l’impressione che sia trattenuto a forza. Tuttavia la stanza è blindata e lui non potrebbe uscire, neanche se volesse. Ma non vuole. Si guarda intorno e sorride vedendoci entrare. È cortese, disponibile, sembra tranquillo.
«Buongiorno Bill» dico.
«Buongiorno capitano Blake» mi risponde.
«Le presento il dottor Raij, è lo psicologo della nave».
«Buongiorno dottor Raij».
«Veramente sarei uno xenopsicologo…» precisa il dottore, con una punta d’imbarazzo.
«Certamente dottore, l’avevo capito» risponde gentile Bill Mortimer.
«Ecco, Bill, il dottore vorrebbe chiederti alcune cose. Io devo restare perché il protocollo lo impone, mi spiace».
«Nessun problema Jack» poi, dopo un attimo di indecisione «sono nei casini, vero?».
È la prima volta da quando lo abbiamo internato che la sua corazza mostra un’incrinatura.
«No» rispondo «è solo che la situazione richiede degli accertament», ma mi accorgo persino io che sto mentendo.
Il dottor Raij ne approfitta per inserirsi e si schiarisce la voce.
«Signor Mortimer» esordisce «il rapporto che mi è giunto dice che lei si è accoppiato con una… con una…».
Non trova le parole, e Bill lo aiuta.
«Una creatura aliena».
«Ecco, sì, una creatura aliena» ripete il dottore, esaminando alcuni fogli estratti della sua cartellina.
«È un comportamento esplicitamente proibito dal Regolamento di Disciplina e Sicurezza» aggiungo, «capitolo 4, articolo…».
«Articolo 6 e 6 bis, grazie capitano» mi interrompe Raij, che nel frattempo ha recuperato i suoi appunti.
«Dunque, signor Mortimer» riprende «lei sa i motivi per cui non è permesso avere… rapporti con esseri alieni…».
«Mi permetta, dottore» lo interrompe «niente di ciò che è avvenuto aveva carattere sessuale».
«Naturalmente. Gli abitanti di Esperia non hanno organi sessuali, perlomeno non ne hanno di compatibili con…».
«Ecco, allora per favore evitiamo l’imbarazzo di parlare di accoppiamenti, rapporti e cose del genere. Se vuole usare una parola corretta per definire quello che è stato usi il termine “contatto”».
Il dottor Raij segna qualcosa sul foglio.
«Contatto… bene». Chiude la cartellina.
«Signor Mortimer, mi spieghi come è avvenuto questo contatto».
«Dottore» intervengo «è tutto scritto nel…».
Lo xenopsicologo mi fulmina con un’occhiata. Mi tappo la bocca.
«Stavo eseguendo una normale missione di ricognizione» spiega Bill «un servizio di routine. Avevamo appena fermato il modulo vicino alla collina Alfa-37 e io e Joe eravamo scesi per prendere campioni di terreno, che in quel punto è…».
«Mi scusi» lo interrompe «nel rapporto non c’è scritto che era in compagnia».
«Le squadre esterne sono sempre composte di tre uomini» spiego «di cui uno deve restare sempre sul mezzo. Gli altri due erano Joe Acrombie e Neff Davis».
Lui marca i nomi sul foglio.
«Come mai non è stato riportato?».
Alzo le spalle:
«Gli altri due sono rientrati normalmente alla base e continuano a fare il loro lavoro. L’evidenza del… contatto c’è stata solamente dopo».
«Quanto dopo?».
«Tra le venti e le ventiquattro ore» rispondo.
«Bene. Allora, signor Mortimer, cosa è successo dopo che lei e il signor Acrombie avevate lasciato il modulo?».
«Beh, per fare i rilievi dovevamo eseguire un carotaggio. Joe ha posizionato la macchina e avviato il motore, e io mi stavo guardando intorno».
«È stato allora che ha visto la creatura?».
«Sì, è comparsa all’improvviso di fronte a me».
«E il signor Acrombie non l’ha vista? Era girato da un’altra parte?».
Mortimer sembra riflettere.
«No, credo che Ela si sia manifestata soltanto a me. Neanche Neff l’ha vista, eppure aveva il campo libero».
«Ela?» chiedo, stupito.
«Sì, è come la creatura ha detto di chiamarsi. Scusi, capitano, non l’ho riferito perché non credevo fosse rilevante».
Non commento, non ce n’è bisogno.
«Quindi questa creatura… Ela… le si è manifestata davanti e lei cosa ha fatto?».
«Niente… sono rimasto paralizzato».
«Vuole dire che la creatura l’ha colpita con qualcosa e l’ha paralizzata?» chiede il dottore.
Bill scuote energicamente la testa:
«No, no, lei non ha fatto niente… Ero io che non riuscivo più a muovermi dallo stupore».
«Provava paura, angoscia?».
«No, semmai un senso… come di beatitudine».
Raij scrive ancora qualcosa sui suoi fogli.
«E poi cosa è successo?» riprende.
Gli occhi di Bill si volgono al soffitto. Istintivamente seguiamo il suo sguardo.
«Io… ho allungato una mano… mi sembrava la cosa più naturale da fare… e l’ho toccata».
Io e il dottore lo osserviamo attentamente: sembra che stia rivivendo una scena estatica.
«Per me è stata come una rivelazione» continua «mi è sembrato di sfondare le barriere del tempo e dello spazio: ogni cosa mi è diventata chiara».
«Cosa, per esempio?». È ancora il dottor Raij a parlare.
«Dottore, si è mai chiesto qual è il senso della vita?».
Raij corruga la fronte, la penna a mezz’aria nella mano. Alza le spalle:
«Credo che tutti ce lo siamo chiesti, prima o poi».
«Io in quel momento l’ho capito».
Ci guardiamo stupiti. Anche questa è una novità.
«Qualcosa di simile avviene nelle intossicazioni da peyote», osserva il dottore.
«Sì, ma poi passa. A me non è passata».
«E poi non credo ci sia peyote su Esperia» dico, e mi rendo conto di avere fatto una battuta, perché Bill sorride.
«Se ha scoperto il senso della vita lo dica anche a noi» lo incalza Raij.
«Non posso».
«Perché non può?».
«Perché è una sensazione non esprimibile a parole. Una illuminazione».
«Che peccato!» esclamo, ironico. Anche il dottore sembra deluso: un’altra allucinazione mistica. Chiude la cartellina e fa per alzarsi.
«Ma se volete posso trasmettere l’illuminazione anche a voi…» dice Bill, in tono quasi sommesso.
Ci voltiamo entrambi verso di lui.
«Cosa intendi dire?» lo aggredisco.
«Quello che ho detto: posso farvi partecipe dell’illuminazione, e di molto altro».
«E in quale maniera? Quella creatura… Ela… ti ha contaminato?».
«No».
«E allora?».
«Ela sono diventato io».
È un attimo: le pareti della stanza svaniscono, così come il soffitto e la cupola che isola la base dal resto del pianeta. Il cielo viola di Esperia rifulge in tutto il suo splendore e miliardi di stelle compaiono ad illuminarlo. La vita continua come prima, ma io e il dottor Radij non ne facciamo più parte: anche noi siamo diventati Ela.