Leonard accarezzò con le dita il grilletto, mentre con la mente registrava il fresco della decorazione in metallo soprastante. Sapeva che doveva sparare i due colpi in rapida successione, perché l’elefante avrebbe scartato sotto l’impatto del primo e non sarebbe stato possibile trovare un buon bersaglio, e sapeva che doveva attendere che fosse a pochi metri da lui perché non poteva sbagliare.
L’elefante avanzava rapido in una nuvola di polvere, la proboscide che si alzava e si abassava, le enormi orecchie che sventolavano. La terra tremava sotto il suo peso come un tamburo africano. Sembrava che nient’altro si muovesse nella savana.
«Scarta, scarta, scarta!» pregava Leonard mentre già la mole del pachiderma sembrava incombere su di lui.
Cinquanta metri, trenta, venti…
Il rombo dei due colpi sparati in rapida successione risuonò nella pianura come un’esplosione.
Il vecchio elefante si inclinò di lato e crollò a terra nel giro di pochi metri in una nuvola di polvere, quasi ai piedi dell’ex mercenario.
Leonard si alzò in piedi e come prima cosa, per lunga abitudine, ricaricò il fucile. Era completamente ricoperto di sudore e sentiva la polvere che si attaccava alla sua pelle.
«Bel colpo, amico!»
Si voltò e vide pochi metri alle sue spalle Schneider che si era raddrizzato a stento sulla barella immersa nell’acqua e sorrideva. Solo allora si rese conto che se avesse sbagliato il colpo, se l’elefante non si fosse fermato, il tedesco non avrebbe avuto scampo.
«Siamo stati fortunati», rispose, guardando l’enorme massa di carne che giaceva vicino a lui.
«Già, fortunati. Senti, se vuoi piantare una pallottola anche dentro quel bastardo che ha sparato ti prometto che ti darò una mano a seppellirlo».
Leonard girò lo sguardo verso il gruppetto di turisti che aveva osservato la scena qualche decina di metri indietro, nel fiume, e diede un chiamo a Obi.
«Ehi tu, vieni qui! Tiriamo fuori questo disgraziato dal fiume prima che la ferita si infetti!»
Il ragazzo si affrettò a fare quello che gli era stato ordinato e anche un paio di ospiti venne avanti per dare una mano.
Superato l’ostacolo rappresentato dal guado, la marcia verso il massiccio roccioso si svolse senza altri inconvenienti e il gruppo arrivò a destinazione pochi minuti prima che scendesse l’oscurità.
«Non restate a riposare!» urlò Leonard appena furono arrivati, «aiutatemi a raccogliere della legna per accendere un fuoco prima che sia completamente buio!»
Di malavoglia, ma anche questa volta tutte le persone valide ubbidirono all’ordine, e presto un grosso falò rischiarò la notte che era rapidamente calata.
«Adesso dovremmo essere ragionevolmente al sicuro» disse Leonard, «rifacciamo le medicazioni ai feriti e poi stabiliamo dei turni di guardia».
Nessuno ebbe da obiettare. Obi si diede da fare per lavare nuovamente la ferita del tedesco e cambiare la fasciatura mentre uno dei turisti accudiva la donna ferita alla testa, che sembrava in stato confusionale.
«Ha vomitato?» chiese Leonard.
«Un paio di volte», rispose l’ospite.
«Deve avere una commozione cerebrale. Datevi il cambio per tenerla sveglia».

Il gruppo si radunò intorno al fuoco. Non avevano viveri, nessuno aveva pensato di portarne e d’altra parte nella macchina c’era ben poca roba, visto che dovevano rientrare quella sera. Avevano alcune borracce d’acqua, la cassetta dei medicinali e naturalmente le armi.
Vicino alla donna ferita, che doveva essere sulla cinquantina, c’era una ragazza più giovane, che poteva essere la figlia da come le stava sempre vicino. Di conseguenza forse uno degli uomini giovani era il marito e quello più anziano il padre. Ne rimanevano ancora un paio che sembravano essere per conto loro.
Leonard alzò le spalle: se tutto andava come doveva andare l’indomani mattina qualcuno si sarebbe chiesto come mai nessuno della comitiva si era fatto vivo e sarebbero partite le ricerche. Per mezzogiorno qualcuno sarebbe arrivato, avrebbe visto il fuoristrada rovesciato e sarebbe venuto a soccorrerli. Si trattava di restare svegli per tutta la notte, poiché non poteva fidarsi dell’attenzione degli altri, ma non era certamente la prima volta. Si appoggiò alla parete rocciosa, il fucile appoggiato alla spalla, guardando il fuoco che scoppiettava nella notte. Le scintille si alzavano alte nel cielo e gli risvegliavano antichi ricordi di situazioni simili, ricordi che avrebbe preferito fossero rimasti nel dimenticatoio. Sopra di loro il cielo africano si era riempito di miliardi di stelle.
«Sono questi i veri diamanti di questa terra!» disse soprappensiero.
La ragazza, che l’aveva ascoltato, alzò gli occhi al cielo e sembrò perdersi nell’infinito. Quando li riabbassò erano velati di lacrime.
Poco lontano si sentivano i guaiti delle iene che avevano trovato la carcassa dell’elefante, mentre certamente di lì a poco sarebbero arrivati i leoni a scacciarle, ma c’era da mangiare per tutti.