Nel frattempo la sensazione strana sulla mia gonna aumenta e quando ci metto la mano mi accorgo che  una gigantesca cicca smangiucchiata si è impossessata di gran parte del tessuto. Vado nel bagno di un bar e facendo le contorsioni con in mano un fazzolettino umidiccio, mi libero della cicca, lasciando però una chiazza su un punto critico che ad un qualsiasi osservatore darà da pensare che io me la sia fatta sotto. Comunque è tardi, devo raggiungere questo maledetto ufficio e fare questo maledetto colloquio!! Se andrà bene saprò la verità… devo pensare solo a quello.

Cerco di confondermi nelle strade di questa città che sa di moltitudine e caos senza sapere bene dove andare e cosa aspettarmi. Un barbone mi chiede dei soldi nella sua lingua straniera dai toni forti; mi mette a disagio con il suo esistere fuori dalle righe. Vorrei sapere di più di lui. Come lui mi sento giudicata in questa città ma in realtà nessuno bada a noi. Tutti corrono indifferenti. Siamo soli tra l’odore della gente.

Finalmente arrivo a questa maledetta banca, trafelata, con l’ascella visibilmente pezzata ed una macchia evidente sul culo. Mi catapulto in una sala d’attesa e mi ritrovo circondata da quelle che io chiamo le FF. Si, proprio loro, le fighe fastidiose: ragazze perfette e stilose che sembrano uscite dalle pagine patinane di una rivista glamour. Non un difetto, non un capello fuori posto, sempre unite nella loro perfezione a fare gruppo. Mi squadrano dalla testa ai piedi come se fossi un alieno appena sbarcato sulla terra ed io mi presento con un timido “buongiorno”. Ovviamente nessuno risponde perché io, misera caccola umana, col mio look serioso ed il mio aspetto anonimo, non merito neanche una risposta o un saluto. Ora più che mai vorrei essere un cavallo pazzo per andare dove mi pare, vorrei vestirmi di niente e camminare più vicino al sole, vorrei parlare con la gente usando solo gli sguardi ed i silenzi, senza architettare le parole. Invece ho questo czzz di colloquio.

Mentre sto quasi per andarmene arriva una segreteria cicciotta ed attempata (menomale, una che rientra in un range di normalità) e, grattandosi la testa riccioluta per lo sconcerto, pronuncia titubante il mio nome. Proprio adesso che stavo pensando a Patrizio!! E’ vero che non vedevo l’ora di uscire da quella stanza piena di profumi nauseabondi ed ostilità ma in quel momento ero concentrata perché la mia mente per istinto di sopravvivenza aveva tirato in ballo l’unico pensiero capace di farmi volare: Patrizio. Il mio inconfessabile ma altrettanto palese desiderio erotico. Ebbene si, care FF. Mentre voi il sabato sera vi vestite da cattive e, perfettamente consapevoli di avere un’arma letale tra le gambe, perlustrate le discoteche alla ricerca di un passero solitario scopaiolo, io quatta quatta con la mia tutazza ed il mio cappellino stupido ho cuccato un figo da paura (per usare le vostre espressioni stereotipate) in un anonimo supermercato. Oddio, non ho ben capito cosa il figo da paura voglia da me. Probabilmente è questo mio essere improbabile ad attrarlo. Patrizio, in teoria fruttivendolo aspirante fotografo. in pratica fantasioso fancazzista con tanta voglia di crescere e di girare il mondo, è un mix di bell’aspetto, cuore grande e cervello fino. Nell’amore  stratega della farsa, distributore automatico di illusioni, si muove spavaldo nel mondo come se questo fosse una donna che gli appartiene. Per me è nuovo, sconosciuto, diverso. Non fa parte di me e del mio solito ambiente. Siamo agli antipodi. Per rendere l’idea, la sua “tamarraggine” è simbolicamente sintetizzata in un tatuaggio: due pistole ad altezza inguine che spuntano sorprendentemente dai suoi jeans, indossati perennemente a filo di culo. Devo confessare che quando lo vedo inevitabilmente mi parte l’ormone e rimango vittima di una tempesta sensoriale che mi cattura nel suo vortice, per cui, inebetita dalle sapienti ombre del chiaroscuro di quel tatuaggio, anche se non vorrei, continuo a guardargli il pacco.

Seguo la signora cicciottella pensando al pacco di Patrizio quando lei improvvisamente distoglie i miei pensieri con una domanda alquanto bizzarra. Mi chiede se il mio è un nome vero o un nome d’arte (ma che tipo di arte ha in mente considerando il fatto non trascurabile che sono laureata in economia e sto per fare un colloquio in banca??). Comunque mi accompagna in una sala dove sono schierati i miei esaminatori (5 per la precisione).

Mi siedo di fronte a colui che sembra il capo: un uomo piacente, sui 45, capello brizzolato e sorriso accattivante. Per un attimo abbassa gli occhiali sul naso e mi guarda fisso fisso, quasi come se volesse scambiare il colore degli occhi, peraltro simile al mio. Dopo le domande tecniche scatta l’inevitabile curiosità sulle origini del mio nome, che io soddisfo a pieno tirando in ballo persino la storia del principe indiano. Ma quando un tizio della commissione fa una battuta denigratoria con tanto di sonora risata, il capo (Dott. D. Marini per la precisione) sbatte con irritazione un pugno sul tavolo facendo sobbalzare tutti, me compresa. Mi congeda con un classico “signorina le faremo sapere”, accompagnandolo però ad un sorrisetto complice ed ammiccante, che mi fa ben sperare.

Vado via contenta, anche perché non devo più rivedere le FF, ma la mia contentezza svanisce quando all’uscita trovo ad attendermi il nonno con la sua ultima conquista. La signora è bardata come una ballerina di burlesque e strizzata in un generoso push up che catalizza l’attenzione di mio nonno, il quale, mentre mi chiede “ma Daria perché non hai voluto che ti accompagnassimo?”, guarda altrove (immaginate dove). Beh la risposta caro nonno te la sei data da solo, aggiungici che, inevitabilmente, mi avresti seguito sino alla sala d’attesa ed avresti compromesso ancora di più la mia reputazione con le FF. La signora push up mi rimprovera perché mi sono conciata come una contadina moldava alla festa del paese, per cui il nonno, con lo scopo di fare lo splendido di fronte alla sua nuova fiamma, mi dà una generosa mancia da devolvere in outfit più consoni alla mia età e figura.  Mi faccio dare un passaggio dalla strana coppia e mi defilo appena posso, promettendo al nonno che sarei andata io a far la spesa dopo aver fatto shopping (in realtà è solo un’ottima scusa per vedere Patrizio).

Il mio piano viene stravolto improvvisamente quando vengo affiancata da un tizio in moto che mi chiede se sono appena stata ad una veglia funebre. E’ proprio il mio ortolano sexy che in un batter d’occhio mi convince a salire sulla moto per portarmi al mare. Mentre mi ritrovo abbarbicata a lui, dimentica della spesa e dello shopping, per un attimo mi viene in mente Reginaldo, il mio vero fidanzato. Reginaldo, occhialuto studente super nerd di dermatologia, dopo una laurea in medicina e chirurgia non capisce niente di donne. Ha sempre una spiegazione razionale per ogni cosa, sempre con i piedi per terra e la testa sulle spalle, è uno di quelli che viene a letto per fare l’amore vestito di canottiera e calzettoni. Programma tutto, anche il sesso, sempre di sabato pomeriggio (ogni tre settimane), dalle 15  alle 15.12 circa, e sempre posizione del missionario. Mai uno slancio, un impeto passionale. E’ stato il mio primo e unico uomo, e più che avere una storia d’amore ci facciamo compagnia. Non so cosa succederà col pistolero inguinale, ma qualunque cosa sia, so già che non riuscirò a sottrarmi. Per vigliaccheria, per forza di inerzia, per attrazione, non lo so. So solo che a lui dico sempre di sì come un ebete priva di volontà. Pensate, gli permetto persino di chiamarmi col mio nome completo, Nuvola Daria… perché dice che io sono il suo cielo ed insieme lo riempiremo di stelle luminose: insieme lo coloreremo di un azzurro vivo intenso. Non mi faccio troppe illusioni, so che quello che dice a me lo dice ad altre cento ragazze più belle e più accattivanti. So che nel mio cielo lui sarà solo un aeroplano che rapidamente lo attraverserà… lasciando però una scia di ricordi indimenticabili.

(segue)