Per fortuna i due  tizi rumorosi scendono dal treno e posso mettermi vicino al finestrino per lasciarmi assorbire dai miei pensieri. La solitudine non dura molto: arrivano una mamma ed una bimbetta che mi fanno ripensare al mio passato. La bimbetta è esile, vagamente mi somiglia, ma la mamma è l’antitesi di ciò che era la mia. Dalla testa ai piedi è fuori moda, col suo tailleur color nocciola ed il suo taglio di capelli anni 80, si vede che è troppo impegnata a far la mamma ed i figli hanno la priorità su tutto. Lo vedo da come accarezza amorevolmente la sua bambina, districandole una ciocca di capelli mentre le sussurra all’orecchio paroline dolci che la fanno sorridere. Un pò invidio quella bambina perché mia madre non ha mai fatto niente di simile. Quando è rimasta incinta di me i suoi l’hanno spedita in un’altra città, perché sarebbe stata una vergogna. Era poco più che adolescente. Anche se le mie amichette mi invidiavano, per me era imbarazzante avere una mamma quasi bambina che non legava con nessuna delle altre mamme, ma flirtava con tutti i papà e si vestiva sempre come se dovesse andare in discoteca, suscitando al suo passaggio sguardi famelici o silenzi imbarazzanti. Spesso ci andavamo sul serio in discoteca: tante volte dormivo sui divanetti perché lei non sapeva a chi lasciarmi e mi trascinava dietro come il fardello scomodo del sabato sera. A me era sembrato tutto normale sino a quando non mi sono confrontata con le mie amichette, che avevano un papà e una mamma e trascorrevano le notti serene nei loro letti, con i loro pigiamini con gli orsacchiotti, con tanto di favole e baci della buonanotte.

Io spesso mi svegliavo in case sconosciute, accoccolata su letti di fortuna con coperte sgradevolmente fredde che sapevano di chiuso, e quando lei si svegliava ancora stordita dopo amplessi fugaci con amanti di turno mi portava via, in pigiama, senza dire una parola e senza consumare uno straccio di colazione. Oggi da adulta non so bene cosa cercasse negli uomini… amore, sicurezza? Fatto sta che io ho avuto ciò che si  definisce un’infanzia difficile. In realtà capisco come la mamma fosse solo una ragazza che aveva ancora voglia di divertirsi e non voleva privarsi di nulla, anche se aveva la responsabilità di un figlio. Ricordo come se fosse ieri che per inseguire uno dei suoi improbabili e fugaci fidanzati mi trascinò al mare. Non avevo mai visto il mare ed ero felice anche perché il nonno mi aveva regalato un salvagente a forma di  gigantesca giraffa marrone e beige. Già mi vedevo sguazzare nell’acqua, abbarbicata al collo di quella buffa giraffa che fluttuava tra le onde, immaginando di raggiungere il mio fantastico padre principe indiano ed il suo lussuoso panfilo. In realtà la giornata prese una piega diversa… nel senso che mia madre ed i suoi amici giocavano in acqua con la mia giraffa mentre io li guardavo dalla riva, col cuore triste e gli occhi rigati di lacrime. Con l’adolescenza la situazione peggiorò perché mia madre scoprì internet ed i siti di incontri. Sceglieva gli uomini su un catalogo come se fossero abiti e, con la superficialità che la situazione richiede, li sceglieva in base al look (tutti rigorosamente con la barba). C’è stato il pittore, l’idraulico, il militare, il bancario, l’eterno studente, il fornaio, il ferroviere etc etc etc. Anche se dormivo nel mio letto come le persone normali, questo andirivieni di uomini era a dir poco stressante. Non facevo in tempo ad imparare il nome di uno che subito veniva rimpiazzato da un altro.

Un giorno questa specie di calvario finì. Una notte mi svegliai con una strana sensazione, un brivido di inquietudine mi fece sobbalzare, improvvisamente. Accesi la luce e, con mio sommo stupore, trovai  Gino il barbiere, o come accidenti si chiamava, che stranamente mi osservava mentre la sua mano si insinuava pericolosamente su per la mia gamba. Mi misi ad urlare come un aquilotto ed il tizio si defilò, tornando a placare i suoi bollori con carne un pò più stagionata della mia (a giudicare dai mugolii che sentii da lì a pochi minuti). Avevo 12 anni ma non ero affatto scema per cui quando mia madre cercò di sminuire l’inquietante accaduto pensai bene di telefonare all’unica persona della mia famiglia provvista di sale in zucca e cioè la nonna. Inutile dire che la nonna, se pur vivesse in un’altra città, si fiondò a casa della mamma come un condor e mi portò via con sé, apostrofando i due fidanzati con denigranti improperi (scema demente a lei e sporco depravato a lui).

Contrariamente al rapporto conflittuale che ho con mia madre, ho un bel ricordo della nonna:  la sua camicetta beige con le falene colorate, le  lunghe collane, gli occhiali giganteschi sul naso troppo piccolo, lo sguardo “finto torvo” e il sorriso malinconico. Mi diceva sempre che io sono come lei, cioè noi siamo donne che si bastano da sole e non abbiamo bisogno di uomini. Mi diceva di studiare, di leggere, di imparare, “…perché solo dal caos interno della ragione e dal turbinio di emozioni e sentimenti si possono generare stelle fluorescenti”, ed io sarei stata una stella. Lei mi ha dato stabilità ed equilibrio. Lei mi ha salvato dalla solitudine. In casa indossava delle ciabattine che facevano un rumore strano, un ticchettio rassicurante che era musica per le mie orecchie. Mi bastava ascoltare quel ticchettio per sapere che lei c’era e per sentirmi protetta, al sicuro. Quando la nonna è morta, improvvisamente per un incidente stradale, è crollato il mio mondo ovattato e fatato. Mi manca moltissimo il ticchettio delle sue scarpe e l’odore di lei e della sua cucina.  La morte è una ladra che ti priva dei tuoi affetti e delle tue sicurezze. Non ti avvisa, non ti chiede nulla, ti lascia sola ad  annegare nel dolore della tua perdita. Ti lascia impotente, tu puoi solo stringere nel pugno chiuso i tuoi ricordi. Così sono rimasta solo col nonno che, dopo aver superato lo shock della vedovanza, da qualche tempo ha scoperto internet ed i siti di incontri e, come mia madre, si è messo a cercare l’anima gemella su uno stupido catalogo.

Oh cavoli siamo arrivati alla mia fermata!! Scendo di corsa sentendo la gonna stranamente appiccicata al mio posteriore. Tra la gente che corre con la testa bassa e lo sguardo fisso vedo un qualcosa che catalizza la mia attenzione: sul muro c’è una farfalla… non ne ho mai vista una di quel colore: è nera ed è immobile, statica, in netto contrasto con la fretta e il rumore. Mi fermo  come un baccalà nel centro della strada con la gente che mi evita, mi circumnaviga, qualcuno mi insulta, ma non mi importa. E’ un momento catartico tra me e quella farfalla. Per il suo aspetto lugubre sembra un presagio infausto, eppure io sento che mi porterà fortuna.

(segue)