Va in scena il dolore: questo era il titolo di quella mia opera prima, dove è già insita l’esplicita, accorata richiesta di una partecipazione non soltanto emotiva, ma attiva e solidale degli spettatori.
Invece, nulla di tutto questo è avvenuto, e l’empatia si è esaurita nell’attimo stesso in cui si scopriva la storia narrare una trama piuttosto comune, e per di più scevra di morbosità e di fasullo sentimentalismo, ingredienti questi che hanno da sempre il potere di calamitare critica e pubblico.

CRITICA
“Sul palcoscenico, dunque, si rappresenta una storia come tante e nemmeno troppo ben narrata dal momento che la protagonista spesso si astrae, risulta fuori sincrono col personaggio, non appare credibile nella sua interpretazione quando troppo scarmigliata invade la scena oppure si defila come ombra sullo sfondo, tant’è che le sue battute, avare di voce, giungono inudibili perfino agli spettatori della prima fila. Così questa pièce, che non avrà mai un remake, è solo una parodia dilettantesca, una mal riuscita imitazione di quel Living Theatre che quando non è un inganno è sempre un azzardo”

Dissolvenza.
Cambio di scena.
Un testo nuovo.

Ma l’attrice sono sempre io.
Nel corso degli anni ho imparato a recitare, ho acquisito padronanza della scena, disinibita e disinvolta, attenta a cogliere gli umori del pubblico ma, a differenza dagli esordi, oggi liberamente decido se infischiarmene o benevolmente assecondarli.
Regina dell’improvvisazione, non ho intere pagine da mandare a memoria, nessun copione a cui mantenermi fedele, se non questo che io stessa scrivo sul momento, in piena libertà ed in tempo reale.