C’è il mare tranquillo di Salerno ed Alice, che ancora non è Alice ma solo un’ipotesi d’identità,
corre lungo la battigia.
Indossa un abito bianco.
Deliziosamente corto.
Perché lei sta crescendo.
Lo dicono le sue ossa che s’allungano.
Lo confermano gli orli che diventano corti.
Ed il primo mestruo.
Che un po’ sconvolge.
Ma molto inorgoglisce.
Corre, Alice, con i capelli che le svolazzano disordinati sul viso.
Capelli inquieti, quelli di un’adolescente.
Che, con dita graziosamente civette, se li scosta di continuo dagli occhi.
Una meraviglia quei capelli che stanno allungandosi in maniera selvaggia.
Senza traiettoria di forbice.
E senza punto di fine.
Un atto d’indipendenza.
La sua prima ribellione.
La sua prima conquista.
Capriccio di bambina.
Vanità di donna.
Alice, che ancora non è Alice, ma solo un’ipotesi d’identità,
non ha coscienza di questi sofismi,
corre a perdifiato lungo la larga striscia di sabbia umida.
A fior d’acqua.
Scansando a saltelli le onde che arrivano già smorzate dell’impeto di piena che le ha generate.
Si sente entusiasticamente viva in quel suo corpo che sale in verticale.
Di anni. E di centimetri.
Si avvia ad esser donna.
Le ossa ed i capelli che si allungano, come tratto deciso di matita, ignorando i bordi.
La primizia acerba dei seni.
I fianchi, che dolcemente si vanno modellano.
Le gambe, che intuisce belle perché, pur qualcuno, ha già espresso apprezzamento.
Il resto è ancora ombra.
Non emerge il colore degli occhi.
Una tinta permalosa di verde.
Che lei sembra non rilevare, intenta ad impiastricciarsi il viso di nascosto.
Specchi provvisori. E mezze luci.
Che nessuno si accorga di quel maldestro maquillage. Ombretto naif.
Profuso, con magnificenza, sulle palpebre.
E le labbra dipinte di rosso.
Come quelle di Lolita. E delle attrici.
E delle donne che sono già donne.