«Oddio, e tu chi sei?».
Dalla sorpresa devo essere sbiancato in volto, perché lui ride sotto i baffi (baffi?) e fa un curioso rumore con le… vabbè, le appendici posteriori.
«Secondo te cosa sono?» mi chiede strafottente.
Io sono senza parole – lo so, di solito parlo poco, anche perché sono sempre solo e da solo non sta bene parlare, ma vi giuro che proprio non riuscivo a spiaccicare verbo, e neanche sostantivo o aggettivo.
«Dunque» mi fa «il mio colroe dovrebbe dirti qualcosa, e anche la fisionomia, no?».
«Argh» biascico «sembreresti un… ma parli?».
«Nooo! Sono una tua allucinazione audio-visiva! Certo che parlo, idiota! Fai ancora un piccolo sforzo».
«Un… un grillo parlante?».
Lui mi fa clap clap con le… mhm… quelle cose anteriori.
«Bravo! Non ti facevo così intelligente! Come hai fatto a capirlo?».
Da questo breve scampolo di conversazione avrete capito il genere di elemento con cui mi trovavo a che fare: saccente, arrogante e pure un poco maleducato. Anzi, senza quel ‘poco’: maleducato proprio. Però nel frattempo mi ero ripreso.
«Perdonami se non l’ho compreso subito» mi giustifico «ma tu devi anche capirmi: non è da tutti i giorni trovarsi davanti una specie di bacherozzo verde da… cinquanta chili?» azzardo.
Con vera soddisfazione lo vedo sussultare.
«Ehi, vacci piano con gli insulti! Ma come ti permetti… messer Geppetto?».
Butta lì il mio nome con disprezzo, come se fosse colpa mia chiamarmi così.
«Be’» rincaro la dose «se non mi sbaglio hai sei zampe, due antenne… a parte il colore e la dimensione non è che poi ci siano queste grandi differenze».
«Eh? Ma non capisci proprio niente? Guarda il mio corpo affusolato, l’eleganza dei miei movimenti, la postura… e poi, hai mai visto uno scarafaggio parlante?».
«No» ammetto «ma neanche un grillo parlante. Anzi, a ben pensarci mi pare che Kafka…».
Scuote la testa e abbassa un paio di braccia.
«Ho capito, abbiamo cominciato male» dice. Poi mi allunga una zampa:
«Mi presento, sono il Grillo Parlante».
Dopo un attimo di esitazione la stringo con cautela.
«Piacere, Geppetto, ma questo lo sai già».
«Sì, sì, non ero venuto per caso».
«Bene» faccio, riprendendo il pezzo di legno che stavo lavorando «sputa il rospo».
Lo vedo diventare verde, cioè, più verde di quanto era prima.
«Non nominare quelle bestiacce, ti prego!» mi implora, guardandosi nervosamente in giro.
«Che c’è, hai paura?» chiedo «ma con le tue dimensioni…».
«Sono un po’ cresciutello, lo ammetto, ma chi non ti dice che da qualche parte qui fuori non ci sia un rospo di 500 chili pronto a mangiarmi?»
Il ragionamento non fa una grinza, mi dispiace solo di aver fatto la battuta involontariamente: l’avrei detta volentieri di proposito.
«Comunque» continua «sono venuto fin qui perché ho una missione da svolgere».
Tiro su gli occhi dal lavoro, sorpreso. Ecchè, adesso danno le missioni anche agli scaraf… ai grilli parlanti?
«È proprio a proposito di quel pezzo di legno» mi dice,, indicandolo.
«Questo? E cosa ha di speciale? È un comune pezzo di ciliegio».
«Lo vedo, ma cosa ci stavi facendo?».
Stavolta sono davvero sorpreso. Non lo so neanche io.
«Boh… ho appena cominciato ad intagliarlo… non lo so, un soprammobile, magari una statuetta…».
Mi pare sollevato.
«Una statua? Bene, di che genere?»
Giro e rigiro il tronco, lo guardo da tutte le parti, seguo le venature che sono disposte longitudinalmente.
«Non so… una madonna?».
Cough cough cough!
Lo vedo che sembra soffocare. Faccio per dargli qualche pacca sulla schiena ma le ali che nel tossire gli sovenute fuori mi frenano. Per dire la verità mi fanno anche un po’ schifo.
«Cosa ti succede? Ho detto qualcosa che non va?».
«Ma ti pare che da quel pezzo di legno possa uscirci una madonna?».
«A me sì».
«E invece no».
«E perché no?».
«Perché…» si ferma un attimo, come a cercare le parole. «Perché con quel pezzo di legno ci devi fare un’altra cosa!».
Poso il tronco e lo fisso in un occhio.
«Ah bene! Potevi dirlo subito.Vuoi fare un’ordinazione?» gli chiedo, sbirciando se da qualche parte tiene il portafoglio per lasciarmi un acconto.
«No, no. Cioè, sì, ma non posso pagarti».
«Quand’è così…» dico, facendo l’atto di riprendere in mano il pezzo «credo che da questo ci verrà fuori proprio una bella madonna. O San Giuseppe, che ne dici?».
Il grillo sembra affranto.
«Geppetto, tu hai una missione!».
«Sì, di mettere insieme il pranzo con la cena!».
«No, ma questo pezzo di legno sarà la tua fortuna».
«Certo: se mi stuferò di intagliarlo potrà addirittura scaldarmi».
«Tu non sai cosa ti aspetta…».
«No, ma so cosa aspetta te se non mi lasci lavorare» dico minaccioso, brandendo il martello.
«… Fama, ricchezza, il tuo nome tramandato ai posteri!».
«Donne niente?».
L’amico grillo ha un attimo di esitazione.
«Donne?».
«Hai presente quegli esseri d’aspetto leggiadro, di solito con lunghi capelli, una lingua perennemente in movimento e due…» faccio un gesto eloquente.
«Volevo dire: che c’entrano le donne?».
Alzo le spalle, riprendendo a far volare trucioli.
«Le donne c’entrano sempre».
«Geppetto, tu da questo tronco devi intagliare un burattino!».
Stavolta sono davvero sorpreso.
«Un burattino? E che me ne faccio? Non ho bambini!».
«Il burattino si chiamerà Pinocchio, sarà un tipo scapestrato, ti metterà a perdere, ma poi per l’intervento della Fata Turchina…».
«Ah, vedi che una donna c’è!» esclamo trionfante.
Lui fa un gesto di diniego.
«No, la Fata Turchina è off limits, mi dispiace. Volevo dire che alla fine Pinocchio si redimerà e diventerà un bambino vero».
«E cosa me ne faccio di un bambino? Non ho già abbastanza grattacapi così? Ci mancherebbe solo un bambino!».
«Non ti piacerebbe un bel bambino tutto tuo?».
«Senti, grillo…».
«Non intendevo in quel senso!».
«Ci mancherebbe altro! È tutto qui quello che hai da propormi? Oppure hai anche un finale a tono, tipo passare il resto dei miei giorni a spaccare pietre in galera?».
«Se il bambino Pinocchio non ti interessa, pensa a Collodi…».
«E chi sarebbe quest’altro bischero?».
«È lo pseudonimo di tale Lorenzini, uno scrittore. Lui racconterà la storia tua e di Pinocchio. Ci scriverà un libro per bambini che avrà un grandissimo successo!»
«Sì? E a me cosa me ne frega?».
«Be’, le royalties, per esempio…».
Faccio un salto sullo sgabello che mi fa quasi cadere per terra. Raccolgo il pezzo di legno e lo riguardo con attenzione».
«Royalties, hai detto? Un libro di grande successo, eh? Sai cosa ti dico? Da questo tronco ci potrebbe davvero venir fuori un bel burattino!».
Poso con circospezione il legno su un telo di velluto.
«Bevi qualcosa, grilluccio caro?» chiedo, avvicinandomi alla dispensa.
«Un po’ di succo di clorofilla, grazie» risponde lui finalmente sollevato.