«Dov’è il mio discorso?».
Sguardi attoniti, persone prese in controtempo, qualcuno più pronto che si eclissa rapidamente.
«Qualcuno sa dove è finito il mio cazzo di discorso? Ma porca puttana, cosa cazzo ci state a fare tutti qui intorno? Piantatela di leccare il culo e qualcuno trovi il discorso, o com’è vero Dio giuro che…».
«Aspetti onorevole, è qui, è qui» dice un giovane incravattato da una camicia troppo stretta in cui suda vistosamente.
Lui lo fulmina con lo sguardo, strappandogli di mano i fogli.
«Onorevole tua sorella, stronzo. Io sono il ministro, capito, il ministro!».
Nessuno ha il coraggio di ricordargli che è solo il sottosegretario, del ministro. Lui lo sa e li scruta soddisfatto. Leccaculo, tutti leccaculo.
Si ricompone in un attimo. Una delle truccatrici gli si fa davanti, lo scruta in volto, fa il gesto di aggiustargli le sopracciglia, lo spolvera di fard stando attenta a non sporcare la giacca blu notte. Un altro gli aggiusta il nodo della cravatta. Sono gesti tecnici, fatti da professionisti a cui lui non si oppone.
Non gli conviene, fanno solo il loro lavoro.
Le luci dello studio sono accese, prende posto dietro il cartellino con il suo nome. Il moderatore parla al microfono con la regia, la trasmissione sta per iniziare.
«Buongiorno signori e signore, questa sera abbiamo il piacere di avere come ospite il sottosegretario M.».
È sudato. La trasmissione è finita. Le luci scaldavano troppo, ma come cazzo fanno quelli che ci sono sempre sotto a sopportarle? Fa scorrere un dito sul colletto della camicia. Sarà nera, ci vorrebbe un cambio, ma non ha tempo, doveva pensarci prima. Ma per cosa cazzo li paga i suoi assistenti se deve pensare a tutto lui? Scende le scale che lo portano fuori dal teatro dove ci sono gli studios, attorniato dal suo segretario e le due guardie del corpo, che gli tocca pagare ma a cui non sa rinunciare dopo che un pazzo gli ha tirato in faccia un vaso. ‘Hanno offerto dei fiori al sottosegretario M. Ma si sono dimenticati di togliere il vaso’ ironizzava un giornale dell’opposizione. Bastardi, ma gliel’avrebbe fatto vedere lui! Se avesse avuto la delega all’editoria, o se il ministro non gli avesse ingiunto di stare calmo e fare buon viso a cattivo gioco… Ma non sarebbe finita così, l’aveva giurato.
«Un intervento straordinario, capo» lo sta elogiando l’assistente «ha steso quel giornalista come…».
Era andato di merda e lo sa benissimo, ma per un attimo desidera che qualcuno gli dica il contrario. D’altra parte, cosa ci poteva fare? Era andato a difendere l’indifendebile, l’onestà del ministro, figuriamoci! E poi non doveva neanche essere troppo persuasivo, mors tua vita mea.
È atteso ad un aperitivo in ambasciata, deve farsi vedere, poi lo aspetta la cena con il rappresentante degli industriali e il suo codazzo, così gli è saltata quella con la modella.
Sale in auto, per un momento pensa a Irene S., alle sue mani, al collo bianchissimo messo in risalto dalla pettinatura alta, alle gambe nervose e perfette. Per la verità ha troppo seno per essere una modella, fin dal primo momento ha pensato che fosse una troietta come tante, ma ha classe. Forse la differenza è solo che deve pagarla con un gioiello invece che in money. Ha una bocca che sembra nata per fare pompini… Per un attimo gli sembra di avere un’erezione, è una sensazione piacevole, ma sa benissimo che non è possibile. Non ha preso niente e il dottore gli ha raccomandato di andarci piano con il viagra, per via del cuore, così lo usa solo a colpo sicuro. Però se Irina, no, Irene, è davvero una troia magari basta mandargli un regalo e darle un appuntamento, saltando tutte quelle puttanate…
È tentato per tutto il tempo del breve tragitto, finché una telefonata non interrompe i suoi pensieri. Prende il cellulare dalla tasca, guarda il numero, si assicura che il vetro di separazione dall’autista sia chiuso e risponde.
«Pronto, ma cosa le gira di chiamarmi sul cellulare?».
Dall’altra parte c’è un attimo di sospensione.
«Questo è un telefono pulito, onorevole…».
«Ne è davvero sicuro? E poi il mio non lo è. Cosa vuole?». Ormai la frittata è fatta, tanto vale andare fino in fondo.
«Volevo solo ricordarle che domani è il giorno di apertura delle buste…»
Bravo, e ora dimmi che mi hai dato la cagnotta, pardon, il finanziamento elettorale e che mi farai avere la seconda tranche solo ad inizio lavori!
«Certo!» risponde invece «come da programma. Era sul bando di gara, no?».
Cerca di essere il più coinciso possibile, sperando che l’altro non sia troppo stupido. O arrogante, che è lo stesso.
«Sì, sì, volevo solo essere sicuro che tutto andasse bene».
Fanculo!
«Ne sono certo anche io. Buonasera». E interrompe la conversazione.
Uno di questi giorni si ritroverà la Finanza nell’anticamera dello studio, deve mollare questa gente. Il fatto è che quei soldi in nero gli vengono bene, e poi non è che puoi tagliare con tutti, così d’emblée: qualcuno ha dei collegamenti che…
Allora, Irene. Le mando il regalo? No, le telefono e le dico che mi dispiace per la cena, che le avevo preso un regalo e avrei voluto darglielo… quando? Stasera? Dunque, la cena poteva finire alle undici, ma avrebbe dovuto cambiarsi… Però per mezzanotte poteva farcela, bastava che…
«Senti, Giacomo» dice rivolto all’assistente «ho bisogno che tu mi faccia un servizio. Scendi qui, prendi un taxi, vai a casa mia e fatti dare dalla cameriera un vestito, no, non da cerimonia, uno spezzato sportivo. E anche una camicia. Portameli… portameli al Savoia per un quarto a mezzanotte, ce la fai? Bene».
Bussa al vetro, fa fermare l’autista e il segretario scende.
Poi fa un altro numero.
«Pronto, Alfredo? Si, sono M.. Ho bisogno che tu mi mandi un altro collier… sì, come quello dell’altra volta. Stasera, scusami ma è urgente, al Savoia a mezzanotte meno un quarto. Mi dispiace per la fretta, ma sai, quando tira, tira…»
Dall’altra parte una voce ossequiosa lo assicura che tutto sarà fatto. E ci credo, con quello che ci guadagna, quel figlio di puttana! Al Savoia ha sempre una camera a disposizione, gli resta solo da fare un’ultima telefonata.
«Pronto, Irene? Mi dispiace davvero tanto per la cena! Un’emergenza in ambasciata… Purtroppo con il mio lavoro… Sai, avevo preso una cosina per te… ci terrei davvero tanto a dartela, non so mai quando riesco ad essere libero! No, stasera, stasera verso mezzanotte, ce la fai a liberarti? Al Savoia, mando un taxi a prenderti. Preferisci venire da sola? Va bene, come credi… a più tardi, ciao, am…»
Lascia la parola a metà, come se avesse timore a pronunciarla, e chiude la conversazione.
Nel frattempo la macchina è arrivata davanti alla sede dell’ambasciata.
Scende, fa un cenno agli uomini della scorta e li libera, poi sale i gradini. Tanto in ambasciata non poteva farli entrare, e poi sembrano più delinquenti comuni che bodyguard di nmestiere, ed infatti è proprio così.
Entra un po’ trafelato, e subito gli si fa incontro la moglie dell’ambasciatore. Lui prende un drink dal cameriere e si dirige verso di lei.
«Signor sottosegretario!» lo saluta la troia.
«Lady C., è un piacere e un onore» fa lui con un leggero inchino, mimando un baciamano.
Lei fa un sorriso di circostanza alla gaffe e lo accompagna nella sala. C’è già l’arcivescovo con il diacono che dicono sia il suo amante, il presidente degli industriali che incontrerà poi a cena, personalità dello spettacolo in cerca di visibilità, politici, faccendieri, guardie del corpo che cercano di passare inosservate, ma autentiche, mafiosi più o meno in incognito. Alcuni alti gradi dell’esercito.
Saluta tutti con gentilezza, cercando di capire quando scappare e di evitare di farsi fotografare con persone che potrebbero metterlo in imbarazzo, poi si ferma vicino ad una colonna, estrae ancora il cellulare e fa il numero di casa.
«Pronto? Rosa, c’è la signora? Come no? Ah, c’era quel ricevimento, è vero…Non è ancora rientrata? E i bambini? Sono a letto? La bambinaia è andata già via? Va bene, mi raccomando, quando rientra la signora le dica che mi sono dovuto trattenere fuori città, ho una riunione domani mattina presto… Sì, probabilmente in serata rientro, buona notte».
Chiude il cellulare. Quella puttana di sua moglie chissà in che letto… Ma va bene, basta che non gli combini casini… Che vita di merda!
Respira, ritrova il sorriso, forse un po’ forzato.
«Buona sera arcivescovo! Buona sera don G. È giusto chiamarlo ‘don’? Mi perdoni ma non mi raccapezzo mai con i gradi della Santa Chiesa…»
L’arcivescovo sorride benevolmente, mentre il diacono arrossisce, ma entrambi preferiscono passare oltre.
Sospira. La vita va avanti, quella di un politico non si ferma mai.