LA DISTRAZIONE DI UNA VIRGOLA
La storia di Delia nasce per un fortuito caso dalla distrazione di una virgola che avrebbe dovuto, invece, all’interno di una corretta punteggiatura, esser punto.
O meglio, quella virgola, in origine, era un punto nato con un sottile sbafo che fuoriusciva dal rigo, ingannevole alla vista, così da esser scambiato per una virgola, segno ortografico che anziché chiudere un discorso lo prosegue.
Senza quello sbafo sarebbe potuta essere, questa di Delia, una storia da raccontarsi in un unico paragrafo, senza alcun punto a capo né asterischi di richiamo.
Una biografia davvero breve, quella sua, col nastro rosa a certificarne la nascita e un serto di lillà ad annunciarne la morte prematura. E incastonata fra i due eventi una storia di rose e di spine, così come ce ne sono, appunto, altre migliaia.
… se non ci fosse stato, a modificarla, quel punto col codino.
Delia era nata graziosa, armoniosa e minuta, ma potente sognatrice.
I suoi sogni li ricamava all’uncinetto, preziosi capolavori amanuensi di pazienza e dedizione, che un giorno andarono ad adornare l’altare maggiore dell’antica Basilica della piccola città dove viveva.
Il suo dono a Sant’Anna Madre della Vergine Maria, ringraziamento per averla salvata, ancora adolescente, da una meningite fulminante.
Ed è proprio nell’estremità ricurva di questo suo uncinetto che materialmente si può constatare la trasformazione del punto in una virgola, che altrimenti la storia si sarebbe subito chiusa con null’altro da raccontare.
Ma il miracolo aveva invece permesso il prosieguo della storia trasformando la fine in un inizio. E poi la realizzazione di una candida tovaglia impreziosita da balze multiple di finissimo merletto. Un capolavoro da maestro orafo quella filigrana sottilissima, tappeto per i piedini scalzi della Santa.
Il candore fosforescente del prezioso merletto, esaltato dalla luce solenne dei lampadari e dal bagliore tremulo delle decine di candele accese, non era passato inosservato agli occhi dell’aristocratica sposa genuflessa ai piedi dell’altare, incantata dalla trama di quel complicato, perfettissimo arabesco, al paragone del quale il lussuoso pizzo del suo velo appariva modesto. Dozzinale.
Quali mani, se non quella di una fata o di un angelo, avevano potuto realizzare un simile capolavoro?
UN PUNTO INTERROGATIVO CAPOVOLTO
Un punto interrogativo, che se lo immaginiamo capovolto ci possiamo di nuovo ravvedere l’estremità ricurva dell’uncinetto a ricamare nuovi capitoli alla storia di Delia che nel frattempo, grata a Sant’Anna, andava valutando l’ipotesi di farsi monaca, nonostante il parere contrario dei genitori che disapprovavano la sua decisione di seppellirsi viva in un convento dopo essere scampata alla morte per meningite.
S’erano perfino raccomandati alla Santa, affinché inducesse la loro figlia ad un ripensamento.
Una ingratitudine bella e buona questa loro verso la Madre della Madonna, autrice del miracolo.
Ma questa loro consapevolezza non impediva la richiesta di un miracolo aggiuntivo, a discapito della Santa.
Per Delia, invece, la scelta del convento non rappresentava affatto la rinuncia alla vita, ma piuttosto il suo perfezionamento. La clausura non le avrebbe tolto nulla di ciò di cui abbisognava, tanto meno gli affetti, che quelli sarebbero comunque perdurati in qualunque luogo e in qualunque circostanza. Che l’amore non è un mero fatto di posti o di abitudini, ma di sentimenti.
E non avrebbe dovuto rinunciare neppure alla sua passione per l’uncinetto, quella sua artistica propensione a confezionare delicate ragnatele in cui incastonare petali di fiori, tralci di foglie, ali di farfalla. Promesse di sole. Quella natura che così tanto la incantava e della quale, attraverso i suoi fili di seta sapientemente intrecciati, ne raccontava la poesia. Il ringraziamento per la sua resurrezione.
Ma pure capiva il punto di vista dei suoi genitori, quelle loro obiezioni alla sua scelta, che per loro era come se lei fosse nata due volte, ed ora temevano di perderla di nuovo, e per sempre, inghiottita dalla penombra di una cella di clausura. Allora quel suo desiderio le pareva unicamente dettato dall’egoismo, perché la sua felicità basava sulla loro infelicità, e quindi il perseguirla non era poi così giusto. Prendeva tempo, Delia, che non era certo una decisione facile la sua, combattuta tra l’amore per i suoi e la sua vocazione. Seppure era certa che tra le due cose non ci fosse nessun conflitto. Fiduciosa confidava in un segno del cielo che la indirizzasse verso la strada più giusta. Ed era assolutamente certa che quel segno sarebbe arrivato, anche se al momento quella strada attraversava una miriade di puntini sospensivi.
UNA MIRIADE DI PUNTINI SOSPENSIVI
Puntini sospensivi che quel giorno l’avevano condotta verso l’altare maggiore, ad onorare con un mazzolino di fiori di campo, la sua protettrice. E così aveva visto che la sua tovaglia di merletto era stata sostituita da un’altra molto bella. Ma non come quella sua.
Quella sostituzione l’aveva profondamente addolorata. Ed anche umiliata.
In quel piccolo capolavoro all’uncinetto Delia aveva profuso tutta la devozione della sua anima, giovane ed incorrotta, in gloria della Santa Madre che l’aveva strappata alla morte, intessendo per lei, con fili di seta, i suoi sogni ancora intatti. Prati di margherite e voli di farfalle. Le immagini della sua resurrezione, dopo che il cielo s’era oscurato e poi le era piombato addosso a seppellirla in quel suo minuscolo campo di margherite.
Per un anno intero s’era prodigata a tessere all’uncinetto quella splendida tovaglia, un capolavoro liberty di minuti arabeschi e ghirigori floreali. Un lavoro certosino, da esperto gioielliere anziché d’apprendista merlettaia. Ci si era consumata gli occhi su quella trama così complessa, particolare, che pure aveva riscosso grande apprezzamento, tanto da esser giudicata all’unanimità, la più degna dell’altare maggiore. Ma poi, dopo pochi giorni, sostituita. Comprensibile quindi la sua delusione.
Attenta, Delia, che stai peccando di superbia. E di vanagloria.
Ripeteva a se stessa per ridimensionare la delusione e renderla meno amara. Ma pure non ci si rassegnava, che una spiegazione ci doveva essere così da mettersi il cuore in pace, e magari trarne perfino motivo di gioia. Così rasserenata, Delia, aveva chiesto spiegazioni al prete, ma quest’ultimo, s’era mostrato fuggente. Evasivo. Niente affatto contento di quelle sue domande.
Domande poste con voce garbata e un sorriso timido. Di scusa.
«Un dono, una volta dato, non ci appartiene più. E di quel che se ne fa non ci riguarda.» Aveva borbottato il prete, senza neppure guardarla in faccia.
«Ma io non lo rivoglio indietro. Vorrei solo sapere perché non è più al suo posto.» Delia aveva rispettosamente obiettato, stupita di quei suoi modi
«Il suo posto…il suo posto. Chi lo ha deciso che quello fosse il suo posto. Tu? Pecchi di superbia a pensarla in questo modo, e oltraggi Sant’Anna che pure ti ha miracolata. Per quanto bello quel tuo lino è sempre e solo un oggetto a cui tu, stoltamente, stai attribuendo un valore sproporzionato. Di sacralità. Una bestemmia!» La risposta del prete, secca e definitiva, non ammetteva repliche.
La spiegazione è quella. La si accetti o meno. Ma quella è. E basta.
Delia, umiliata e volutamente fraintesa (di questo era certa, perché lui si era dimostrato fin dall’inizio ostile) aveva desistito dall’esigere quelle spiegazioni che non avrebbe avuto.
Delusa s’accingeva a lasciare la Basilica, quando una donna, una sconosciuta col capo velato, materializzandosi dall’ombra, le si era affiancata, e con voce bassa, ma chiarissima, le aveva detto: «Io so come sono andate le cose!»
LA RIVELAZIONE DI UN PUNTO ESCLAMATIVO
Nella dolcezza della voce quel punto esclamativo era emerso imperativo. L’affermazione di una incontrovertibile verità
– Il tuo bellissimo merletto è stato venduto a una giovane e facoltosa signora, che proprio il giorno delle sue nozze adornava l’altare maggiore. Se ne è innamorata e senza stare a contrattare sul prezzo, lo ha comprato. Una cifra davvero molto grande. La storia è questa. Trai tu le conclusioni, Delia –
A sentir pronunciare il suo nome, Delia, istintivamente aveva alzato gli occhi a penetrare il cono d’ombra che nascondeva il volto della donna. Ma gli unici particolari che era riuscita a vedere erano due occhi chiari e una fronte candida.
«Mi conosci? » Aveva chiesto stupita.
«Ti conosco, e so quanto grande e puro è il tuo cuore. Per questo ho voluto rivelarti la verità, e in base a questa indurti a valutare le tue scelte per il futuro. Le tue mani sanno tessere la bellezza, e questo è un dono di cui dovrebbe goderne il mondo intero e non essere appannaggio esclusivo di qualcuno. Neppure di una Santa. Le cose belle devono appartenere a tutti e non solo a chi ha potere e denaro. E quello che è accaduto lo dimostra. Il tuo prezioso lino dalla penombra della Basilica s’è involato in quella di una stanza privata, forse ad adornare un tavolo di pregio o un’antica testiera. Per impedire che questo accada di nuovo, Delia, deve propagare la tua arte come un fertile seme, ai quattro angoli del mondo, affinché prolifichi anche nei terreni più aridi, laddove c’è troppo o niente sole. Semina a piene mani, che della bellezza il mondo necessita. Fanne soprattutto dono agli emarginati, ai disperati. Ai naufraghi. Sono loro che hanno più bisogno della tua arte per acquisire la possibilità di una speranza. Di una resurrezione. Sarai viaggiatrice instancabile, nomade se occorre, cittadina del mondo. Avanguardia degli invisibili. E’ nell’aria aperta che prolificano i pollini e non nel chiuso di una cella. Entrambe abbiamo un compito d’assolvere: il mio è resuscitare i morti, il tuo, invece, i vivi. E questo tuo è senz’altro il più difficile.»
PUNTO FINALE
Punto finale a sancire la conclusione della storia, dopo questo inaspettato, e alquanto rivoluzionario suggerimento, impartito a viva voce da Sant’Anna, che scopriamo esser donna emancipata, pragmatica. Anticonformista. E quel consiglio, la giovane Delia, lo avrebbe fatto suo. Nelle limpide parole della sua protettrice non c’era solo il conforto a volerla risarcire dall’odiosa grettezza del prete, che aveva fatto mercimonio di un bene che non gli apparteneva, trasformando la Basilica in un bazar (ma di episodi simili abbondano le cronache della Chiesa. Nel passato come nel presente), ma soprattutto le aveva indicato la strada per realizzare la sua missione.
«Come sovente capita che ai guai causati da un uomo sia quasi sempre una donna, in terra come in cielo, a dovervi porre rimedio. E magari trarne anche un positivo vantaggio per molti.» Aveva concluso ironica Sant’Anna, con un sospiro di rassegnazione e un sorriso.
INCISO A PIE’ PAGINA
Nelle limpide parole della Santa, Delia aveva trovato la rivelazione sulla strada da intraprendere. Sul modo più giusto di conciliare arte e vocazione: la sua missione
Aveva così seguito il cammino indicatole della sua protettrice. S’era fatta nomade e aveva vestito il mondo coi suoi merletti. Ambiti capolavori in seta, erano andati ad adornare chiese e musei. Dimore reali e palazzi statali. Avevano vestito regine e rock star. First lady e Madonne. Per le sue creazioni lei chiedeva sempre il pagamento in mattoni, (più impalpabile era la trama più pesante era il mattone) così da poter costruire case per gli orfani, ospizi per i vecchi, rifugi per gli emarginati. Ripari per i naufraghi. Per tutti quelli a cui era stata negata la bellezza della vita. E la speranza di poterla un giorno conquistare.
Delia, attraverso la sua arte, offriva loro questa speranza. La possibilità di un riscatto.
E di una resurrezione.