L’astuccio è posto di sbieco a colmare l’ultimo spazio residuo nel voluminoso baule che sempre mi trascino dietro nei miei rarissimi, e momentanei, spostamenti esistenziali.
La brevità del viaggio, però, non determina mai un adeguato ridimensionamento all’esigente impegno del mio bagaglio.
Da parte mia sempre supportato dallo studio, appassionato e metodico, della suddivisione delle geometrie dello spazio, affinchè nessun indumento subisca l’onta dello sgualcimento e nessun oggetto l’oppressione dovuta all’eccesso di volume, nell’interno cubicolare.
Astuzie d’insaccamenti e di posizionamenti che vado a sperimentare in un’area sempre troppo insufficiente, e circoscritta, di spazi ed angoli.
Non è vero che col passare degli anni le esigenze di una donna vanno a diminunire.
Almeno, nel mio caso, se ne sono aggiunte di nuove.
Ed assolutamente irrinunciabili.
Ragion per cui non posso, in alcun modo, definirmi una viaggiatrice dinamica.
E ben disposta.
Se la stagione è fredda indosso gli indumenti più voluminosi per alleviare del loro carico l’interno del bagaglio.
Ed acquisire, ancora, ulteriore spazio.
Oltretutto il mio pessimismo esistenziale mi porta ad immaginare cataclismi meteorologici anche nella bella stagione così da giustificare l’eccesso, spesso incongruo, d’indumenti e di calzature invernali, all’apparenza inopportuni in un viaggio estivo.
La mia organizzazione maniacale, e la mia fervida immaginazione, hanno sempre il sopravvento sulla necessità pratica, e talvolta immediata, di uno spostamento anche a breve raggio, senza variazioni di clima e di fuso orario.
Nulla deve mancarmi in caso di una improvvisa situazione di emergenza.
Se non in quella ancora più estrema di sopravvivenza.
Scenari di bivaccamenti all’addiaccio in territori d’improvviso diventati ostili a causa di un guasto meccanico o di una sciagura meteorologica che prolungherebbe il viaggio, moltiplicando quei disagi che, se posso anticipatamente prevenire, ho solo psicologicamente da guadagnarci.
E trarne materiale beneficio qual’ora l’infausta probabilità si concretizzasse.

UNA SITUAZIONE IMMAGINATA
Il treno aveva miracolosamente frenato poco prima che il tratto di binario conseguente frantumasse come un troncone d’osso, ridotto a schegge e polvere, dallo scoppio di un’ordigno.
E così, noi della vettura di coda, eravamo cesi a terra insperatamente illesi, seppur frastornati.
Davanti ai nostri occhi s’innalzava una inespugnabile muraglia di polvere che impediva la vista.
Immaginammo che quello scoppio sul binario, di cui ignoravamo l’origine, avesse provocato voragini e dissestamenti nelle aree circostanti, per cui la decisione più saggia era quella di non avventurarsi oltre e di attendere i soccorsi nel perimetro delimitato dalla frenata del treno.
Ma quanto tempo ci avrebbero impiegato questi ad arrivare non era dato saperlo, dal momento che i cellulari erano zittiti dall’assenza di campo.
Tutti ci abbracciavamo solidali, ben consci della sciagura sfiorata solo grazie ai riflessi prodigiosi del macchinista, e già qualcuno dei passeggeri stava valutando l’idea di promuovere una iniziativa su Facebook per sollecitare una raccolta di firme e chiedere alla Presidenza della Repubblica d’insignirlo con la medaglia di eroe dell’anno, quando un nuovo, ed imprevedibile cataclisma si andava di colpo preannunciando.
La temperatura andava repentinamente abbassandosi, in quell’agosto che sarebbe passato alla storia come il mese più caldo in assoluto negli ultimi tre secoli.
Un vento gelido trasportava, nelle folate di polvere, l’odore acre del fumo dell’esplosione, impedendoci di respirare.
Impreparati a quell’estremo cambiamento di clima, i viaggiatori dinamici, quelli col bagaglio leggero, cercavano riparo nei vagoni del treno che non avessero subito troppe devastazioni nell’urto provvidenziale, ma violentissimo, della frenata.
Costretti a rintanarsi in un ammasso di ferro ed acciaio più gelido, se possibile, dell’esterno.
Alcuni, disfatti i bagagli, avevano cercato di coprirsi col maggior numero d’indumenti possibile.
Quelli partiti con la valigia del week end cercavano, invece, di scaldarsi in un groviglio promiscuo di corpi e di fiati.
In quel tratto di mondo diventato d’improvviso ostile, mi trascinavo dietro il mio baule da pioniera, pronta a difenderlo con la vita se qualcuno avesse osato metterci le mani sopra.
Trovai un pertugio tranquillo in un vagone deserto, e non troppo danneggiato, dove potei indossare il mio provvidenziale kit per le situazioni d’emergenza.
Avvolta poi nel calore confortevole del mio plaid da viaggio, mi ero quasi addormentata quando un’alta figura maschile mi chiese con  voce, bella e gentile, se poteva sedersi nel mio stesso scomparto.
Aveva tracce di neve sui capelli.
Ed un sorriso accattivante.
Gli feci posto, offrendogli l’ospitalità della mia coperta.