Gli stivali affondano nella sabbia sottile passo dopo passo, mentre gli occhi si riempiono delle immagini che la memoria ha conservato intatte. Il vento è impregnato del profumo salmastro che si attacca alla pelle. Il primo orizzonte dei miei ricordi, quella linea impalpabile e sfumata dove cielo e mare si confondono, riempie il mio sguardo mentre le onde, come amanti appassionate, lambiscono le rocce del promontorio. Per un attimo il respiro si ferma, il cuore smette di battere, mi consegno anima e corpo all’emozione. E mi sento a casa.
Nessun altro luogo al mondo ha per me l’importanza di questo scrigno di terra e rocce che si allunga sul mare, quasi un guardiano inamovibile e rassicurante dei miei ricordi. Mentre cammino sul soffice tappeto grigio increspato dal vento, rivedo volti, riascolto voci, risate, battute, suoni di mille e mille giorni d’estate. Estati in cui sono nascosti segreti, sogni, lacrime, drammi e commedie di tutta la mia vita. Ad ogni passo mi aspetto di veder sbucare fuori da dietro le cabine dalla vernice scrostata, una figura nota, magari quel ragazzo bellissimo e irraggiungibile, davanti al quale passavo e ripassavo nella vana speranza di farmi notare, o la mia amica del cuore, timida e impacciata nel nuovo bikini un po’ troppo “da grande”. E mi sembra di sentire in sottofondo gli annunci dell’altoparlante:”I signori bagnanti…” o le note di una canzone da spiaggia anni ’70 che parla di sole, mare e amore.
Il campo di pallavolo è sempre lì, lo si capisce dai pali di legno levigati dal vento piantati lateralmente. Partite epiche, sfide tra squadre di spiagge confinanti: ufficiali contro sottufficiali (le rigide gerarchie militari applicate anche alle situazioni di divertimento!), marina contro aeronautica, ma il top era sempre marina contro esercito! Dopo tutti questi anni devo confessare che la quasi totalità delle ragazze non capiva un accidenti di pallavolo e si annoiava a morte, ma per nulla al mondo si sarebbe persa una performance dei più bravi e più belli di entrambe le parti. E poi c’era sempre la possibilità che qualcuno si facesse male e avesse bisogno di mani amorevoli per essere curato: quale migliore occasione per approfondire una conoscenza e andare oltre gli sguardi? Altra epoca, altri approcci: si passava la metà del tempo a fantasticare, magari mentre si seguiva un’azione della partita, su come sarebbe stato se “lui” l’avesse baciata, magari di nascosto e al riparo dai materni occhi indagatori, dietro una cabina o al largo, durante il bagno. Sogni innocenti che affollavano le torride notti estive, alcuni sopravvivevano all’autunno, sfumando nelle gelide notti invernali in attesa di un altro solleone.
La giornata è limpida, fredda, ma con il sole e un po’ di vento, la mia giornata perfetta al mare. Nonostante questo luogo per me significhi imprescindibilmente estate, continuo a preferire il mare d’inverno, forse il vero volto del mare. In questa solitudine bramata, cercata a lungo e conquistata duramente, il suono dei miei ricordi è più chiaro, cristallino. I volti sono netti e precisi; le voci chiare, profonde e squillanti; le immagini scorrono con una perfetta scansione da Oscar per il montaggio. Sono tornata nel mio luogo primordiale ad attingere un po’ della forza di questo mare e di questo vento, sono venuta per capire meglio e più chiaramente i miei meccanismi interni. So con certezza che se esistono delle risposte alle mie domande, posso trovarle solo qui.
Per una volta non ho fretta, non ho scadenze, ansie, pensieri di cose da fare. Mi sto regalando un brandello di totale libertà che appartiene a me sola, nel luogo che più amo al mondo. Se non suonasse terribilmente melodrammatico direi che potrei anche morire soddisfatta e felice in questo istante. Mi accontenterò di essere solo felice, che non è poco, sommato tutto. Del resto, ho sempre pensato che la felicità è un attimo non uno stato duraturo. E l’essenza della vita è tutta nella capacità di riconoscerla, viverla fino in fondo e non cercare di fermarla o prolungarla. Non avrebbe senso.
Due gabbiani planano sulla battigia e si litigano i resti di un mollusco. Ripenso alle interminabile spedizione alle “secche”, che la marea ci regalava a ore precise, dove saccheggiavamo cannolicchi e telline per la gioia delle nostre madri che li trasformavano in prelibati manicaretti. I più audaci mangiavano al volo qualche cannolicchio ancora vivo e si riempivano la bocca di quella tenera carne bianchissima e dolciastra tra le smorfie dei più schizzinosi.
Le cabine di legno, simili a casette, sono ancora tutte schierate a metà della spiaggia. Nelle tavole di legno sono custoditi segreti, speranze, delusioni di intere generazioni. Nell’ora più calda, dopo aver mangiato alla mensa dove il cuoco Don Nicola, nella migliore tradizione militare, ci proponeva una buona scelta di cibo, noi ragazzi ci ammassavamo all’ombra di queste cabine a chiacchierare, flirtare, ascoltare musica con i mitici “mangiadischi”(prima dell’avvento di un juke box al bar della spiaggia), passare in qualche modo il tempo che ci separava dalle fatidiche tre ore che dovevano passare prima che le nostre madri ci concedessero di buttarci in acqua. Era in queste ore che si decidevano i destini delle storie d’amore stagionali. Era in queste ore che attraverso la musica, che è e resta il miglior veicolo di emozioni che conosco, si cercava di spiegare quello che non si riusciva a dire a parole. Mentre voci e volti ripassano nella mia mente, mi sento invadere da una grande tenerezza e mi lascio cullare dalla melodia di “ Ruby Tuesday”.
La visibilità è perfetta, davanti a me Procida, sembra quasi di poterla toccare. Ma è il Capo, il promontorio di Miseno che è sempre stato il caposaldo del mio cuore. Ho sognato per tutta la vita di costruirmi una casa in cima a quelle rocce con una parete di vetro a picco sul mare. Resterà il mio sogno per sempre, ma forse è meglio così: un sogno realizzato diventa una realtà, non è più un sogno e perde tutta la sua magia. Potrò continuare a cullarlo nel mio cuore e alimentarlo e immaginare come sarebbe. Lo terrò al sicuro: nessuno può rubarci un sogno, è forse la sola cosa che ci appartiene completamente e che nasce direttamente da noi.
Ho imparato a sognare da piccola, per sfuggire ad una realtà che non mi piaceva e che non potevo cambiare. Non ho mai smesso, ancora oggi la potenza dei sogni mi mantiene in vita e scoprire di averne ancora è la sola cosa che a volte mi fa continuare il cammino.
Raccolgo una conchiglia pallida e diafana nelle sue sfumature di rosa, sembra l’ala di una farfalla. E anche un sasso liscio e levigato dal mare, perfetto nella sua piatta rotondità. Li stringo nelle mani e li infilo in tasca, come due talismani. Saranno i miei portafortuna per i giorni a venire, quando tornerò ad essere lontana da qui geograficamente, ma con il cuore piantato saldamente su questo promontorio. E mentre mi giro ancora una volta a guardare il mio mare, prima di imboccare il vialetto che mi porterà alla strada del ritorno, mi riempio gli occhi e il cuore di questo luogo magico e mi sento definitivamente in pace con il mondo, padrona dei miei sogni e dei miei ricordi indimenticabili.