Quella del 2020 fu per Paolo Braghetti un’estate davvero indimenticabile per quanto essa fu da dimenticare.

Aveva 15 anni e, a suo dire, era un uomo ormai.

Infatti i peli sul labbro erano passati da dieci a trentuno, con sua gran soddisfazione ma era un po’ preoccupato per quell’anomalia del pelo dispari collocato a destra.

Pensava: Oddio e se mi nascesse in futuro un baffo solo come farò? Mi porteranno in giro tutti.

Vabbè che con la rasatura non si noterà… oppure ricorrerò ad un auto trapianto.

Tutto il resto dell’armamentario era perfettamente in regola, si era molto documentato su Google ed era fortemente deciso a dare il via alle danze ed inaugurarlo alla grande. Aveva conosciuta Silvia della II E che gli faceva gli occhi dolci a scuola e con cui aveva preso a chattare fitto, fitto come due web-piccioncini.

Era fatta, si capiva… anche da quelle foto che gli aveva inviato del tipo vedi/non vedi, ti piacerebbe se, dai, però, non farle vedere a nessuno… Insomma i presupposti c’erano tutti a detta dei suoi amici più esperti del settore.

Intanto metteva a punto l’attrezzatura e la controllava più volte al giorno con discreta lena affinché tutto fosse ok e non si arrugginisse.

Però, maledizione, proprio quando la questione era in dirittura d’arrivo, scoppiò quella stramaledetta pandemia del corona virus, durante la quale, il nostro coscienzioso Paolo cercò di ammazzare il tempo nei suoi soliti passatempi e doverosi controlli.

E c’era da capirlo, si sentiva come una Ferrari in pole position un secondo prima della partenza.

Non era certo una Panda, lui!

Infine arrivarono giugno, la promozione in terza a calci nel sedere ed arrivò finalmente il tanto atteso 15 giugno.

Ecco, si erano dati appuntamento per quel giorno allo chalet ‘Da Romualda’ a Porto San Giorgio.

Curò il suo aspetto, si fece un nuovo taglio di capelli ed indossò la mascherina più figa che c’era in commercio e che aveva pagata addirittura 30 euro ma, d’altra parte, era quella che indossava spesso Scura Ramegni, la famosa influencer di cui Silvia era un’accanita follower.

Così, era certo, il suo fascino da maschio mediterraneo sarebbe stato da urlo e lei sarebbe caduta ai suoi piedi secondo una delle varie modalità più volte prefigurate durante le prove.

Era pronto.

Sua madre aveva affittato in quello chalet una cabina per tutta la durata della stagione e quella mattina lo aveva accompagnato. La sua presenza però non intralciava i suoi piani perché di solito lei si sdraiava come una lucertola e se ne stava così per ore ed ore. Perciò avrebbe aspettato che le arrivasse il consueto abbiocco e sarebbe sgattaiolato verso la cabina.

Ma strane ed impreviste novità lo attendevano.

Tutto il litorale era recintato con plexiglass e allo chalet si accedeva facendosi riconoscere dal bagnino che applicava a chi arrivava un sensore al polso tipo bracciale elettronico e lo guidava, passando per un percorso tra pareti sempre in plexiglass, fino al box -ombrellone di sua competenza. Di lì si poteva entrare in acqua ma il percorso ugualmente recintato si spingeva fino a 10 metri dentro al mare. Uguale destino nel tratto verso la cabina e, se non avesse rispettato i percorsi e le distanze, sarebbe scattato un segnale acustico fortissimo che avrebbe avvertito il bagnino dell’infrazione.

Sul mare volava un drone che ronzava sinistro come una fastidiosa e gigantesca zanzara ed era pronto a scattare foto come documentazione del reato eventualmente commesso.

Paolo si spogliò mostrando il suo torace da adolescente in tutto il suo virile splendore, si voltò e la vide.

Stava cinque vetri più in là, bellissima, quasi nuda che lo guardava sconcertata.

Erano in gabbia.

Con le mani appoggiate al vetro mimarono la mossa di prendersi per mano, un contatto tanto desiderato e impossibile.

Sotto la mascherina rosa fucsia di lei e quella griffata di lui si intuiva, però, il sorriso.

Con un cenno le fece segno di raggiungerlo alla cabina 27 ma lei , percorrendo quel labirinto diabolico di vetri, si ritrovò più volte a ritornare al suo ombrellone.

Allora le indicò il mare e le fece cenno di andare oltre gli sbarramenti ma appena arrivarono alla massima distanza consentita, un fortissimo suono di sirena attirò l’attenzione di tutti verso i due colpevoli che, quindi, non poterono far altro che tornare mestamente indietro con la coda tra le gambe e sotto lo sguardo di deplorazione di tutti.

Non ci fu proprio verso di realizzare quel suo tanto desiderato progetto così lui, rassegnato, pensò bene di andare nella cabina e almeno controllare se tutto fosse a posto.

Sì, è vero, controllava talmente spesso e con tale cura che la cosa divenne causa di forte stress.

Lo si notava dal pallore del viso, da quelle occhiaie sempre più marcate e la mamma, che intuiva quella sua tensione ‘interiore’, premurosamente lo avvertiva sulle conseguenze.

Ma lui non se ne curava troppo, tanto suo padre aveva un negozio di ottica!

Lui e Silvia, abitando in paesi diversi e non avendo altre opportunità a causa delle ancora persistenti limitazioni negli spostamenti, dovevano necessariamente incontrarsi in spiaggia ovviamente accompagnati da un genitore che guidasse l’auto.

Più volte ritentarono l’impresa provandole tutte: corrompere il bagnino, modificare il sensore, travestirsi da gabbiano, persino praticare un foro nel plexiglass con attrezzature da scasso acquistate on line per scavare un tunnel come l’abate Faria…

Quella, fu un’estate da schifo, stressante, deludente, che spense piano piano ogni velleità di concretizzare con Silvia i suoi progetti, che pure teneva speranzosamente pronti.

Per lo meno finché verso ottobre non conobbe la signora Geltrude della scala B, una santa donna tanto cordiale e generosa… col marito imbarcato per tre mesi in Atlantico.

Immagine dal web.