Stamattina suona il telefono. Un numero che non conosco, una voce che non conosco, un nome che non mi ricorda nulla. La mia esitazione imbarazzata, poi il chiarimento: “Sono l’amico di Massimo”. Un tuffo al cuore. Massimo se ne è andato poco più di un mese fa e io non sono riuscita a riabbracciarlo dopo averlo ritrovato.

La voce al telefono mi spiega: “Stavo mettendo a posto carte, documenti di Massimo. Poi ho trovato una lettera con il tuo nome come mittente, era un nome che non conoscevo. L’ho letta la lettera, devo confessartelo, e sono rimasto colpito dalle parole d’affetto sincero che ho letto e ho sentito il bisogno di telefonarti. Ho trovato il tuo numero nell’agenda di Massimo”. Gli dico commossa che sono felice di sentirlo, felice che abbia letto la lettera, gli racconto chi eravamo Massimo ed io, legati da un’amicizia giovanile e balneare, ma che si rinnovava ogni anno, in barba ai mesi che non condividevamo e ci ritrovavamo sulla nostra spiaggia come se ci fossimo incontrati il giorno prima.

E’ stato così anche quando ci siamo ritrovati su facebook. Lo avevo cercato subito, senza esito. Avevo riprovato dopo qualche anno trovando una foto abbinata al suo nome che poteva essere lui, sotto la patina degli anni. Gli avevo mandato un messaggio rimasto a lungo senza risposta. Poi, all’improvviso, una mattina eccolo comparire: “Sì, sono io, come sono felice di ritrovarti!”

Ci siamo sentiti per telefono, lui a Malaga, io a Roma e poi abbiamo deciso di scriverci, lettere vere, di carta e inchiostro, quelle col francobollo di cui aspetti con trepidazione la risposta. Su quei fogli di carta ci siamo raccontati gli anni che ci hanno separato, con parole sbilenche ed emozionate abbiamo confessato errori, vittorie, cadute e resurrezioni, legati dall’antico affetto inossidabile.

Ho ritrovato l’amico con cui avevo condiviso serissime discussioni sull’affidabilità di quell’amore estivo appassionato ma durevole come un ghiacciolo Arcobaleno, colui con cui avevo scambiato lacrime e risate, figure barbine, richieste sconvenienti, come quella mattina che appena arrivata in spiaggia, del tutto inaspettatamente, avevo avuto bisogno degli assorbenti e lui, senza battere ciglio, era corso in paese a comprarmeli. Erano i favolosi anni ’70 e una cosa del genere da parte di un maschio era impensabile. Ma Massimo era oltre, oltre gli stereotipi, oltre le etichette, oltre le gabbie del falso perbenismo. Una persona solare e magnifica con l’innocenza di un bambino e la tenace fedeltà che si trova solo in un cane, animale da entrambi amatissimo. E dopo averlo ritrovato mi è stato vicino durante la malattia di Argo, mi telefonava per sapere come stava, per farmi coraggio.

Sì, perché Massimo nonostante i casini, le vicissitudini, i momenti difficili non ha mai perso l’ottimismo, il sole che aveva dentro non si è mai spento e ha sempre pensato positivo per gli altri e anche per se stesso, fino all’ultimo istante.

Questa mattina la voce del suo compagno di una vita, trentotto anni insieme, si è incrinata d’emozione parlando di lui. Gli ho detto che il patrimonio della loro vita insieme è un tesoro raro e prezioso che niente e nessuno potrà mai portargli via. Ci siamo promessi di incontrarci quando tornerà in Italia perché non riesce più a vivere a Malaga senza Massimo, e posso capirlo.

La mia giornata è iniziata così, con una lettera che continua a viaggiare, un rettangolo di carta affollato di parole emozionate che supera il tempo di recapito postale e continua il suo viaggio per trasmettere ancora e ancora e ancora, attraverso la potenza delle parole e la magia della scrittura, l’amore che ci unisce al di là di ogni confine.