S’era svegliato d’improvviso, agitato e sottosopra. Che diamine aveva sognato? Tutto sudato cercò di far mente locale. Un incubo, magari… no, non gli pareva. Non sentiva la tipica angoscia che ti lasciano certi sogni senza capo né coda, dove ti accadono cose talmente irreali che sovente manco riesci a descrivere.
Possibile fosse stato un rumore a svegliarlo? Se così era stato, di certo non s’era ripetuto. Strano, lui non era tipo da dormire con i nervi a fior di pelle, anzi… e allora? Allora gli parve di avere un brevissimo lampo, che però sparì tanto rapidamente come s’era presentato. Maledetto, sentiva di averlo lì a portata di mano ma come provava a inquadrarlo gli sfuggiva in una sensazione desolante di vuoto ed impotenza. Che fosse vero quello che ogni tanto quella scellerata di sua figlia gli suggeriva con la maledetta parolina che da sola bastava ad evocare spettri malefici: Alzheimer? Con l’età è normale avere qualche intoppo con la memoria… Alzheimer, papà, Alzheimer suggeriva serafica e falsamente indulgente la maledetta… d’altra parte come faceva a prendersela con lei? Da sempre, da che mondo è mondo le figlie femmine si rigirano i padri come vogliono e strozzarle pare sia proibito dalla legge.
Alzheimer o banale dimenticanza che fosse, non riusciva a focalizzare cos’era ad averlo ridestato. Qualche notte prima s’era sì svegliato di soprassalto ma lì c’era stato un motivo preciso: dei passi al piano di sopra che però parevano proprio dentro la stanza. Passi coi tacchi: l’inquilina del piano di sopra doveva aver fatto tardi e, dio ci salvi, se le era sembrato ragionevole e civile togliersi quelle vertiginose scarpe! D’accordo era giovane, avvenente e, coi tacchi soprattutto, pareva proprio una di quelle che insomma vedi in televisione e ti fanno venire il torcicollo e lontane rimembranze di quando… beh, meglio lasciar perdere!…, ma non gli pareva un buon motivo per ancheggiare alle due di notte sulla sua testa fino al punto di svegliarlo. Come se non bastasse tanto era stato il soprassalto che nemmeno era riuscito a capire bene dove si trovasse e per un attimo, parendogli d’essere nella casa di campagna dove sulla testa non c’era alcun appartamento, quei passi si collocavano giocoforza nella stanza e diretti verso il suo letto.
In affanno, al buio aveva cercato l’interruttore della lampada del comodino, certo che la luce avrebbe rivelato magari un qualche sadico travestito, con in mano un coltellaccio alla maniera della buonanima di Antony Perkins in Psyco. Un attimo di terrore irrazionale e un po’ patetico visto che poi la luce aveva chiarito che nella stanza non c’era nessuno e si trovava invece nell’appartamento in città, con la signorina di sopra troppo stanca per togliersi le scarpe da battaglia. Benedetta donna!… e benedetto buio che facilita il lavoro di certi fantasmi anche quando questi, a ben vedere stanno solo nella testa.
Ma insomma, ecco, in quel caso si poteva pure capire che gli fosse preso un mezzo coccolone, e se poi s’era dato del cretino deficiente era solo perché non ci fai una bella figura, manco con te stesso, in certi intermezzi. Stavolta però che doveva pensare? Nessun rumore, era certo. E allora? Ma ecco che fa capolino qualche cosa… sì, ecco, c’era una voce, sì, proprio così, una voce che l’aveva svegliato. Non una voce vera, però… sembrava più un’eco lontana, una specie di mantra, che arrivava ovattata come dalle oscure profondità di una segreta d’un vecchio castello. In verità non che avesse sentito chiavistelli o grida di condannati incatenati alle pareti o straziati da mostruose pinze arroventate. Anzi, ad essere precisi, non aveva sentito un bel niente. Era una voce di quelle che si sentono talvolta nei sogni: tu sai benissimo che non è vera, che non c’è, sai che stai sognando ma non puoi fare a meno di ascoltarla. Chi era e che diceva? Gli sfuggiva ancora. Però gli rammenta qualcuno o qualcosa.
C’era di che rompersi la testa appresso a quell’enigma. Che ci guadagnava poi? Non sarebbe stato meglio rimettersi a dormire ed evitare, forse, lo stupendo mal di testa che, continuando l’andazzo, si sarebbe garantito per il giorno dopo? fermi tutti! Il giorno dopo, che diamine doveva fare il giorno dopo? C’era qualcosa che gli toccava, aveva dato la sua parola. Caspita! Ecco la voce di chi era, era Pino che quasi gli sussurrava: «T’avevo chiesto un piccolo favore… che ti costava?». Oh porcaccia della miseria! Ma che ho combinato? Avevo promesso di portare Pino all’aeroporto e mi sono scordato. Ma perché allora lo scemo non l’ha chiamato invece di venire a recriminare nel sogno per la sbadataggine? E poi: da quando Pino è capace di intromettersi nei sogni altrui? Già e persona discreta e riservata, figuriamoci pensarlo che s’intrufola nei sogni… stava vaneggiando, era chiaro. Però l’appuntamento c’era e bisognava onorarlo… sempre che ci fosse ancora il tempo. Ma quella maledetta della sveglia non aveva suonato. Oppure s’era scordato addirittura di metterla? Ariecco quello stupido tedesco o austriaco che fosse con le sue disgustose insinuazioni! Come se scordarsi una cosa debba sempre essere una questione di demenza senile o Alzheimer… staremmo freschi! Eppoi bando alle ciance: aveva chiarissima l’immagine del suo trafficare con i pulsanti… benedette sveglie d’un tempo, con la loro lancetta che facevi ruotare lentamente per indicare l’ora in cui volevi alzarti! Non era precisissima, d’accordo ma che se ne fregava se sbagliava anche cinque minuti? Quanto la mettevi stavi però a posto mentre queste complicatissime diavolerie moderne ti confondono le idee e finisci per credere di aver messo la sveglia… siamo sicuri poi che era ieri sera?
Ma poi, prima di finire di farci male, non sarebbe meglio vedere che ora è? Magari non è detto che… dove sta la maledetta? Ah, ecco, non la vedeva perché davanti ci aveva messo il librone che stava leggendo prima di crollare ier sera… fermi tutti! È ancora notte fonda e il led parla di nemmeno le cinque! Oddio, tutto sto cancan per niente… il primo che nomina quello stronzo di Alzheimer lo corco per l’eternità!
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