La leggenda è il prodotto di una summa di audaci fantasie che sconfinano nell’irreale, partendo dalla ragionevole, seppur mai materialmente verificata supposizione, che l’irreale sia solo un concetto emotivo.
(Oliver MacNeil – Realtà di una leggenda)
Guinèe, il sovversivo, se ne è andato lasciandole in dono il ricordo del suo ventre affamato e l’ identità d’ombra del suo nome, che Orsola s’appresta a trasformare in quello che diventerà il suo leggendario cognome.
Meglio di una fede nuziale, che una volta prosciugato il desiderio si sarebbe, forse, tramutata in catena.
Guinèe ha continuato a visitarla nei sogni ancora per un pò finchè il tempo lo ha relegato tra i ricordi, circoscritto in un angolo notturno del bosco di ceibe e di ebani, a sud di Kourou.
La sua attività in seno a La Piccola Università del Piacere, d’altronde, l’assorbe completamente lasciando poco spazio alle fisime ed ai rimpianti per ciò che non si è realizzato, dando ragione a Mme Nguyen quando, parlando della morte che l’ha risparmiata, è solita dire che quel che non è stato è perchè non doveva essere.
Congetturare sulle ipotesi è passatempo per benestanti e per romanzieri. Aggiungerebbe Himako, che seppur qualche tentennamento nella sua vita lo ha avuto, non ha mai mostrato pentimento.
La vita si basa non sulle ipotesi, ma su ciò che è alla nostra concreta portata. Questa la tesi probatoria di Priscila, che alla sua concreta portata, un giorno, ha trovato un ferro da calza col quale ripristinare la giustizia.
E sull’azione, indispensabile per l’affermazione riconosciuta di quel che realmente siamo. Concluderebbe Alizèe che, in ottemperanza di questo principio, ha rinnegato il suo nome ed il suo casato.
Affermazioni, queste de” les filese de Mme Nguyen”, che sono stralci autobiografici e non acquisizioni di teorie umaniste o iniziatiche, o di tutte quelle astruserie filosofiche indirizzate verso la cognizione e l’esistenzialismo, materia per le pompose, quanto astratte, discussioni dei filosofi e degli ecclesiasti. Divertissement.
Ésta es vida real! Esclama Priscila mostrandoci le sue cicatrici.
Nessuna di queste donne conosce una vita diversa da quella reale, e di certo anche loro avrebbero diritto, per una regola di giustizia, a covare un sogno personale, seppur piccolo. Seppur segreto.
E torniamo ancora ad interrogarci su ciò che è giusto e su ciò che non lo è, come ai tempi del Grande Circo Planetario, quando sul banco degli imputati c’era la morale.
Cambiano i personaggi e le ambientazioni ma gli interrogativi universali permangono invariati, senza risposta o con l’ingombro di troppe.
Constatiamo però, con un sorriso, che la giustizia per affermarsi non disdegna strumenti eccentrici quali una sfera da chiromante o un ferro da calza, e seppur traspare evidente una sua difficoltà ad emergere, non dobbiamo disconoscerle l’ostinazione a voler essere lei ad avere l’ultima parola.
Anche se, talvolta, l’ultima parola non è quella che chiude definitivamente il capitolo.
Mme Nguyen ha ricevuto la soffiata dell’imminente arresto di Orsola, accusata di complicità nella fuga di Blaise Marchand, soprannominato Guinèe, l’eversivo condannato all’ergastolo per aver partecipato al complotto per assassinare l’imperatore Napoleone III
Fuggi. Le ha detto mettendole in mano un gruzzolo sostanzioso e, al collo, la protezione dello scapolare de la Santa Virgo Madre de los Afligidos.
Mi ha aiutato a vedere…seppur con un occhio solo. Aiuterà anche te.
La notizia della sua fuga si è sparsa, alimentata, ad arte, dalla stessa Mme Nguyen, che l’ha rivestita di leggenda e trasformata in pagina di romanzo.
Quando i gendarmi hanno fatto irruzione ne La Piccola Università del Piacere, mettendola a soqquadro e creando scompiglio tra gli ospiti, ma anche minaccioso risentimento tra quelli che vantano titoli e credenziali, Orsola è ancora lì, travestita in abiti maschili, con una benda su un occhio, intenta a fumare una pipa d’oppio e resa invisibile ai gendarmi dallo scapolare miracoloso de la Santa Virgo Madre de los Afligidos, a cui lei è devota.
Questa la versione fantastica di Mme Nguyen.
In realtà Orsola è fuggita prima dell’irruzione della polizia e quel marinaio dall’occhio bendato che fumava impassibile una pipa d’oppio…quello c’era davvero, perso nell’oblio della droga da non rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Preceduta dalla sua leggenda, Orsola, è di nuovo in fuga, questa volta sulle vie d’acqua dove è più agevole far perdere le proprie tracce ed il proprio odore.
Il primo rifugio abusivo lo trova sulla “Maryflower”, una carboniera diretta verso il Cile: in alto mare Orsola si palesa al capitano, lo seduce e lo conquista alla sua causa.
Oliver MacNeil è uno scozzese rosso di capelli e di temperamento, audace e fantasioso, amante delle donne, delle armi e della letteratura. Scrittore, egli stesso, di romanzi a soggetto marinaro.
Lui le narra Shakespeare e Dante mentre l’addestra sull’uso del moschetto.
Lei contraccambia svelandogli i segreti reconditi del sesso e quelli più sottili dell’estasi.
Uno scambio proficuo per entrambi, ben consapevoli che quest’appassionata, ma transitoria relazione consumata in contumacia, terminerà quando la carboniera farà scalo in Cile, perché sarebbe un azzardo troppo rischioso, per Orsola, rimanere a bordo della “Maryflower”.
Sarà proprio Oliver a trovarle il passaggio successivo su un vascello amico, diretto a Buenos Aires, e sarà ancora sua l’idea letteraria che, anziché occultare, farla circolare la voce, in sottofondo e negli ambienti giusti, della sua presenza a bordo, in modo da permettere ad Orsola di continuare ad esercitare la sua arte, e pagarsi le spese di viaggio.
Così la “Maryflower” è solo la prima di una serie infinita, quanto variegata, d’imbarcazioni sulle quali trova rifugio negli anni dell’esilio sull’Atlantico: brigantini e mistici, bombarde e galeoni, mercantili e clipper.
Le cronache dell’epoca ci raccontano che ad ogni porto in cui fa scalo c’è già un legno che l’attende, pronto a salpare appena lei è a bordo.
E file di passeggeri danarosi, molti dei quali illustri, disposti a sborsare cifre da capogiro per un posto sulla nave in cui è segnalata la sua presenza e, di costoro, l’ultimo della serie è proprio l’Ambasciatore del Panama a Lisbona, del quale abbiamo fatto la conoscenza nel primo capitolo, colto nella quiete del sonno, con la bocca socchiusa sul capezzolo sinistro di Orsola e le braccia solidamente avvinghiate ai suoi fianchi, come un naufrago abbarbicato alla sua zattera.
Ma quella di Orsola è una zattera nomade che rifugge gli attracchi e la riva, e rifiuta timoni e timonieri, cosicché gli ospiti che raccoglie a bordo non possono permanere oltre il tempo da lei stabilito.
Neppure questa eccellenza, che le regole una volta fissate devono valere in egual modo per tutti, così come democraticamente avrebbe decretato Mme Nguyen.
L’ambasciatore, che si è volontariamente imbarcato su questa goletta scalcinata che svogliatamente asseconda le onde beccheggiando sbilenca su un mare assolutamente piatto, al pari di tutti gli altri non potrà sostare a suo piacimento nell’alcova di spuma e di sale di Orsola, e a nulla varranno le suppliche, le minacce o le lusinghe perché, laddove non arriverà il convincimento delle parole, di sicuro, arriverà quello del moschetto.