La sera era particolarmente fredda e uggiosa.
Il balcone e la finestra della grande cucina dei nonni erano sprangati e oscurati da vecchi teloni incerati sia per l’osservanza del coprifuoco sia per impedire al nevischio d’infiltrarsi all’interno.
Sulla mensola del camino brillavano tremule due lampade all’acetilene uscite dalle mani ingegnose del nonno e nel focolare ardeva un ciocco rinforzato da sterpaglie e trucioli provenienti dalla vecchia segheria di Canio, ferma da quando il figlio Vituccio era caduto ad El Alamein.
Accostata alla brace, che man mano andava formandosi, borbottava la pignatta con i fagioli e appeso alla catena di ferro dondolava nero il paiolo con delle patate bitorzolute la cui cottura era controllata dalla nonna con un ferro del suo lavoro a maglia.
Le patate con un filo d’olio avrebbero costituito il piatto forte della serata.
Per me e i miei due fratellini, carni in crescita e dunque più bisognose di nutrimento, era previsto anche un uovo alla coque a testa.
La nonna conservava le uova in un paniere pieno di paglia dal quale quella sera ne estrasse tre e le calò nell’acqua delle patate.
Tutti insieme apparecchiammo la tavola a una distanza di sicurezza tale che le scintille del fuoco non ci cadessero addosso.
Il nonno pelava le patate e ne posava due in ogni piatto. Per noi piccoli erano pronti tre portauova e i cucchiaini in Silver del servizio buono di posate che nel tempo avevano visto cene più congrue e commensali più satolli.
Prima, tutti in piedi a esprimere la nostra gratitudine al Signore per il cibo che era davanti a noi, poi, compostamente seduti pronti a gustare quanto la Provvidenza ci donava.
La nonna ruppe la calotta delle uova dei miei fratelli; io pretesi di fare da sola.
Picchiai più volte il cucchiaino sull’uovo, ma il guscio non si ruppe. Provai con il manico di una forchetta senza alcun risultato:
“Faccio io!” disse la nonna, ma prima che lei mi prendesse l’uovo, io lo battei con stizza sul tavolo. Un colpo secco e voilà…!
Ero raggiante per la soddisfazione di avercela fatta da sola. Ero grande io!
Guardavo i fratellini che si gustavano il loro uovo un cucchiaino dopo l’altro, io mi gustavo la differenza d’età (14 mesi) tra me e loro. Io sapevo fare delle cose che essi non erano in grado di fare!
Rimisi il mio uovo nel portauovo e inforcai il cucchiaino.
In quel preciso istante il mio volto trasfigurò: la gioia tramutò in orrore.
Il mio cucchiaino non affondava nell’albume e nel benefico tuorlo giallo, ma in una disgustosa poltiglia scura, tra cui giuro di aver visto un becco e degli artigli.
Quella sera nessuno riuscì a frenare le mie lacrime.
La nonna mi mise a dormire nel lettone grande tra lei e il nonno e spossata caddi in un sonno profondo.
La mattina al risveglio ero grata ai miei fratelli che da combattenti invincibili avevano ucciso il mostruoso drago che voleva strapparmi dalle braccia della nonna.