Il racconto di Adelina, incentrato su pochi fatti e molte congetture, non mancava però di una sua logica, anche se a tratti in balia di una fantasia febbrile, esasperata dalle estenuanti veglie a spiare il mondo dal buco della serratura o dai vetri della finestra.
La spagnola era in stato evidente di esaltazione. Una furia esplosa poi all’interno della casa
… l’ha vista entrare ma non più uscire.L’ombra pugnalata era dunque quella della spagnola: il racconto di Adelina tragicamente combaciava con quello della mia visione.
– Come fa ad esser certa che non sia uscita? Magari non l’ha vista –
– No, non è uscita. Il lampione proietta una luce vivida su tutto il cortile, e il portone, quando lo si apre o lo si chiude, cigola, seppur sommessamente, ma le mie orecchie, a causa dell’insonnia, sono diventate sensibili ai rumori anche minimi. La donna non è uscita da quell’appartamento, ci metto la mano sul fuoco –
– Nessun altro, oltre lei, li ha sentiti bisticciare? –
– Come faccio a saperlo? Io testimonio per quello che ho personalmente visto e sentito. Ma non ho prove, e senza di quelle non si va da nessuna parte –
– Prove… di cosa?-
– Dell’ omicidio –
– Omicidio! Questa è una supposizione grave e, mi lasci dire, molto azzardata –
– E allora che fine ha fatto la ragazza? Dopo il litigio, di cui poco ho capito perché la ragazza urlava in spagnolo e lui, il Maestro, le rispondeva con altrettanta veemenza in tedesco, o in una lingua simile, è subentrato un silenzio di tomba. Proprio così: di tomba. E lei non è più uscita dalla casa –
– Sono solo supposizioni, le sue, Adelina, ne deve convenire con me. Non si può accusare nessuno di un reato così grave senza esibire alcuna prova –
– Oh certo che lo so, le mie supposizioni sono come le tue visioni: farneticazioni. La giustizia necessita d’impronte digitali e macabri reperti per mettersi in moto, e così tanti criminali la fanno franca e se la ridono. Piuttosto, tu non hai visto più nulla accadere in quella stanza? –
– No, non ho visto più nulla –
… le avevo mentito a fin di bene, che se le avessi raccontato la mia ultima visione, che in definitiva avvalorava tutta la sua storia, avrei contribuito ad esacerbare quella sua morbosa, seppur lucida emotività, che pure emergeva dal tono acuto della voce e da una gestualità esasperata, imbrigliata in un precario autocontrollo.
Ci salutammo come due cospiratrici, consapevoli, però, che di quel nostro briefing erano già al corrente tutti gli altri condomini.
La descrizione fisica, l’irruenza caratteriale e quella sottile ambiguità di fondo della misteriosa spagnola, m’avevano ispirato il nome di Anais, che per queste sue caratteristiche l’avevo da subito configurata alla più celebre Anais Nin, scrittrice di romanzi erotici.
…e così ne avevo disegnato, nella mia fantasia, un ritratto suggestivo: piccola di statura, esile, capelli corti corvini, sguardo enigmatico, vestita con un tailleur pantalone di foggia maschile. Una di quelle donne solo all’apparenza fragile, ma con all’interno il potenziale distruttivo di una santabarbara.
Necessitava stabilire una correlazione reale tra gli evanescenti personaggi, protagonisti di quel film muto di cui solo io conoscevo già il finale.
Quali ruoli rivestivano i tre attori protagonisti di quel film a episodi ?
Interpretavano una parte o se stessi?
1) Anais, solo ferita, era caduta a terra per rialzarsi e andar via
2) Anais, solo ferita, era caduta a terra dove Ludwig l’aveva poi uccisa.
3) Anais, mortalmente ferita, era caduta a terra dove era spirata.Un finale aperto dove benissimo, nella seconda e terza ipotesi, s’andava incasellando anche l’affermazione di Adelina pronta a giurare che la donna non era mai più uscita dalla casa.
Nella sciagurata ipotesi dell’omicidio, colposo o doloso che fosse, dov’era finito il cadavere?
….molto più probabile, invece, che la donna, seppur ferita, avesse lasciato l’appartamento sulle sue proprie gambe, eclissandosi nel buio.
Per saperne di più sarei dovuta tornare indietro di qualche fotogramma, laddove Elizabeth. inciampando guarda a terra e con un moto d’orrore si porta le mani alla bocca.
Sul pavimento c’era il corpo di Anais o solo il suo sangue?
Elizabeth…forse saperne di più su di lei avrebbe contribuito a far luce su questa storia che, perdonate l’ironia, andava in onda col buio.
D’altronde lei e Ludwig, a differenza dell’evanescente Anais, erano reali.
…e di questo mio proposito d’indagine non ne avrei fatto parola nemmeno con Adelina.
Il primo passo sarebbe stato documentarmi su Internet riguardo la vita, privata e pubblica, di Ludwig. Con un po di fortuna avrei stabilito la sua correlazione con Elizabeth (c’erano troppi forse in questa storia dove procedevo per congetture quando, invece, necessitavo di dati verificabili e circostanziati).
Il primo enigma da sciogliere sarebbe stato quello di risalire al vero nome e cognome di Ludwig, così difficili da pronunciare e memorizzare, il motivo per cui era stato soprannominato il Maestro.
… per mia sfortuna erano state rimosse anche le etichette dal suo citofono e dalla cassetta della posta.
Senza un nome di riferimento non avrei cavato nulla da Internet, così come i detective del secolo scorso avrei dovuto far ricorso ad un informatore.
…informatrice, per la verità, la migliore sulla piazza, una donna dai mille mestieri, giornalista, pianista e animatrice di feste, e in ultimo ideatrice di bufale per un sito internet che grazie a lei stava vivendo l’età dell’oro.
Una donna che sul pettegolezzo e la maldicenza aveva costruito le sue fortune e le sue sfortune.
Elsa, (così chiamerò la mia informatrice, per via delle tante rilevanti attinenze con la più celebre Elsa Maxwell, la penna più corrosiva del giornalismo gossip targato USA, operante tra gli anni ruggenti e la grande depressione), uscita con la fedina penale pulita da una torbida vicenda di politici e prostitute minorenni, che l’aveva vista protagonista dapprima come coimputata eppoi come testimone d’accusa.
…così erano cadute tutte le altre teste, ma non la sua, che fieramente ostentava su quel suo collo grassoccio come prova inconfutabile d’innocenza.
Innocenza a cui nessuno aveva mai creduto, ma che nessuno avrebbe più osato mettere in dubbio.
Una mail coincisa, promettente rivelazioni per uno scoop sensazionale, inviata tramite il suo sito, mi fece entrare in contatto diretto con Elsa, allettata dal poter imbastire uno scandalo su un soggetto inedito (anzi vergine, come lo aveva definito lei, proiettata già nell’atto della profanazione).
…quella donna metteva i brividi anche a distanza.
La storia, non importa che sia vera, ma deve essere credibile: è su questo assunto che si basa il giornalismo scandalistico. Logica e fantasia devono riuscire a convivere all’interno di una stessa frase, coerenti e convincenti, altrimenti il castello di carta miseramente crolla e il costruttore rimane sepolto sotto le macerie.
…ma nessun castello di carta, per quanto architettonicamente azzardato dall’impavida Elsa, le era mai crollato addosso. Morivano gli altri ma lei, miracolosamente, ne usciva illesa (proprio come era accaduto nell’epilogo dell’ultimo scandalo da lei fomentato)
…così, per non rimanere io stessa vittima delle sue verità costruite, avrei dovuto propinarle una trama plausibile anche se determinata da fattori improbabili. Per eccitare il suo istinto alla caccia le avrei fatto sventolare sotto il naso uno straccio colmo di troppi odori sfidandola a selezionare quello giusto, sia pure che appartenesse alla vittima o all’assassino.
…e quale trama sarebbe stata più adatta della verità stessa?
Come era nelle mie previsioni Elsa cestinò in toto la mia storia, nonostante io giurassi e spergiurassi sulla sua veridicità, e sulla mia incapacità di venirne a capo, motivo per cui m’ero rivolta al lei, la migliore giornalista sulla piazza: non c’è materiale sufficiente a costruire le prove.
Costruire le prove!
Non cercarle, quelle prove, ma costruirle!
Evidentemente un lapsus di cui neppure s’era accorta, intenta com’era a scarnificare, ancora vivo, il povero Ludwig, che seppur fosse stato tutto quello che lei andava con ferocia descrivendo, pure gli avrei concesso la mia pietà, tanto erano micidiali e mirati ad una lenta agonia i colpi che lei gli andava, senza alcuna misericordia, assestando.
Elsa mi aveva raccontato di un uomo ambizioso ma privo di un vero talento artistico (avevano frequentato, per un certo periodo, lo stesso Conservatorio, poi lei insofferente alla prospettiva di una ingiusta gavetta, dove s’era vista preferire, al suo indiscusso talento, colleghe meno brave ma più disponibili alle scorciatoie (seppur sono convintissima che quelle medesime scorciatoie, se anche a lei fossero state proposte, non le avrebbe di certo rifiutate) aveva optato allora per il giornalismo, che le avrebbe consentito di perseguire una carriera autonoma incentrata sul proprio talento e senza l’intermediazione di un patrocinante. Ludwig, (il cui vero nome è W. V. H. continuerò a chiamarlo così che il suo cognome è davvero impossibile da ricordare), invece, aveva dato un’accelerata alla sua carriera sposando A. K. sorella del celebre direttore d’orchestra J. K., una donna molto più grande d’età ma in grado di favorire la sua ascesa. Un matrimonio durato il tempo necessario alla sua conclamazione di enfant prodige del pianoforte e terminato col suicidio della moglie, causato dalla depressione per una grave malattia, (questa la motivazione ufficiale) ma, in realtà, per colpa di quell’unione infelice. Tradimenti non ne erano venuti a galla, seppur di certo ce ne saranno stati, lui era molto giovane e lei già sfiorita, ma la famiglia della suicida non lo aveva incolpato di nulla per evitare ulteriori scandali, e questo gli aveva permesso di andare impunemente avanti e consolidare la sua carriera, servendosi magistralmente del suicidio della moglie per costruirsi la leggenda di artista maledetto. Narrazione di grande presa soprattutto tra le donne, di tutte le età e di tutti i generi,, che a far la fila per un suo autografo c’erano anche le rocker. Cosa ci trovassero in lui è un mistero, visto che aveva un carattere ruvido, molto umorale, per cui facilmente disertava perfino le feste organizzate in suo onore. Un’asociale e della peggior specie, di quelli a cui nonostante i modi sgarbati viene permesso e giustificato tutto, in nome di quel loro genio assolutamente inesistente. Che il grande Maestro di stecche ne aveva prese, eccome, ma pure gli erano state perdonate anche quelle. Si era sposato una seconda volta con una ballerina dell’Opera di Parigi, D. M, una biondina acerba, incolore, una ragazzetta qualunque che amava vestire di celeste, più giovane di lui e che gli aveva dato un figlio, vissuto, però, solo pochi mesi. Si era parlato di morte in culla, e lei era caduta in una forte depressione da cui non s’era più ripresa, decretando la fine della sua carriera di ballerina. In realtà anche di lui, in quel periodo, e anche dopo, per tantissimo tempo, si erano perse le tracce, dando adito ad un suo avvenuto, seppur mai annunciato, ritiro dalla musica. Ma poi eccolo, invece, intraprendere una lunga tournee nei paesi asiatici (stavolta, però, secondo la critica e agli addetti ai lavori, molto deludente). Ora, alla luce del tuo racconto, mi chiedo: che fine ha fatto questa sua seconda moglie? Dovrò indagare a tal proposito, anche se è scontato che quelle come lei finiscono in convento o si suicidano. E arriviamo alla terza, E. B. quella che tu chiami Elizabeth (il cui nome, per caso, è proprio quello), l’avventuriera materializzatasi dal nulla, bellissima ma non più giovane, e per questo con la necessità di contrarre un matrimonio conveniente. Quando si sono sposati la stella di Ludwig aveva già iniziato ad offuscarsi, ma aveva comunque accumulato un sostanzioso patrimonio col quale benissimo avrebbero potuto vivere di rendita. Perché l’abbia sposata rimane un mistero visto che al nostro artista piacevano le donne timide, obbedienti e sottomesse, come le sue prime due mogli, perché con loro gli riusciva di mascherare la sua latente impotenza. Elizabeth, invece, era una dominatrice, era lei a dettare le regole, imponendogli perfino la convivenza con la sua amante storica, una spagnola, sua socia in affari e compagna di letto. Elizabeth era un osso duro, non si sarebbe suicidata né fatta suora. Per liberarsene a Ludwig rimanevano due opzioni: l’uxoricidio o il divorzio.
…quel divorzio che l’aveva ridotto sul lastrico.