Josephine Fournier, la Marquise Baroque, venne giustiziata in una nebbiosa alba del 16 Ottobre del 1793 all’interno della Conciergerie, evitando una esecuzione pubblica che avrebbe, per clangore di folla, forse offuscato lo spettacolo più importante, quello della decapitazione de la Reine, che da lì a poche ore sarebbe andato in scena.
Josephine ottenne di essere condotta al patibolo col suo abito più bello e senza subire l’umiliazione dei capelli mozzati, che a lei vennero lasciati intatti seppur raccolti in una treccia serrata, fissata sulla sommità del capo.
Tutto questo fu possibile grazie all’accondiscendenza umanitaria di Jean-Baptiste Michonis, Ispettore delle Carceri e Capo della Polizia, in seguito giustiziato anch’egli con l’accusa di aver partecipato alla congiura de l’oeillet, per far evadere Maria Antonietta.
La Marquise Baroque fu dunque l’unica aristocratica (ma nobile non era, almeno di nascita, seppur nessuno più se ne ricordava) a non subire l’oltraggio estremo della decapitazione pubblica con tutte le umiliazioni che tale messinscena esigeva, o sottostare alla brutalità dell’odio sociale così come era stato per la Principessa di Lamballe, stuprata, torturata, decapitata ed in ultimo squartata.
Josephine era la figlia bastarda di Marianne Fournier, la blanchisseuse, nata senza il riconoscimento del padre e col destino già segnato di mani corrose dalla lisciva.
Marianne se la trascinava dietro nel suo pellegrinaggio quotidiano nelle case più abbienti dove si spaccava la schiena a far tornar candido ciò che più non lo era, come certi peccati che si consumano di nascosto protetti dalle pareti di una ricca dimora o, come era accaduto a lei, dai muri di una stalla.
Peccati che l’acqua, solo apparentemente monda, perché gli odori permangono, e se solo più profondamente si guarda son lì, pronti a tornare a galla nella schiuma oleosa del sapone.
Marianne il suo peccato se lo portava appeso sulle spalle, alla maniera indigena, dacchè le braccia erano sempre cariche dei voluminosi fagotti dei peccati altrui, che di cullare sua figlia non aveva di certo il tempo.
Poi, quando Josephine fu in grado di tenere un pezzo di sapone fra le mani senza farselo portar via dall’acqua, se la portava dietro come aiuto, a condividere il duro lavoro della smacchiatura e della battitura, per insegnarle il mestiere.
Marianne, la blanchisseuse.
Josephine, la petite blanchisseuse.
Un destino ereditato dalla casualità della nascita eppur progettato per evolversi su altri percorsi, quando in un gelido mattino di Febbraio la petite blanchisseuse spiegò, di un tono più alto del consueto, la sua voce di usignolo dodicenne, per combattere il freddo ed inconsapevolmente affermare la sua gioia di vivere, nonostante quella sua sarebbe stata una dura vita che pur contemplava le stimmate indelebili delle vesciche alle mani, che quel giorno avevano ricominciato a sanguinare, tant’è che Marianne, presa dal timore che si potesse macchiare quella biancheria che avevano il dovere di riconsegnare impeccabile, le impose di tenerle all’asciutto, che avrebbe fatto da sola piuttosto che rischiare un imbrattamento, perché non potevano permettersi di perdere una così importante e ben retribuita commissione, un affronto che Yolande Martine Gabrielle de Polastron, Duchesse de Polignac, Sovraintendente Della Casa Della Regina, non meritava di certo.
Josephine ubbidì con gioia, che il dolore alle mani era tanto e che forse un pò di riguardo avrebbe contribuito a placarlo, e che la voce no, quella non recava le moleste brutture delle vesciche e che poteva dispiegarla, intatta nella sua meravigliosa estensione, come un finissimo lenzuolo immacolato per il suo piacere personale, e forse di qualche angelo di passaggio, e che se paupula il pavone, che pur emette un verso così sgradevole come richiamo d’amore, nessun disturbo oltremodo insopportabile avrebbe potuto arrecare la sua voce di bambina, tanto più che a quell’ora mattiniera alla fonte c’erano solo loro due.
Ma il caso volle che fosse proprio la Duchessa de Polignac ad ascoltarla cantare mentre in carrozza s’avviava alla volta del Petit Trianon, il palazzo privato di Maria Antonietta a Versailles, che si fermò incantata ad ascoltare quella voce ancora immatura, eppur già così naturalmente predisposta, che gorgheggiava inconsapevole di quell’ascoltatrice rapita, e quanto mai adatta a favorire una svolta nel suo destino
La Duchessa de Polignac, donna dalle decisioni rapide, scese dalla carrozza il tempo necessario per una veloce trattativa, che già era in ritardo per l’allestimento dello spettacolo serale per la Reine, che non si rivelò neppure troppo difficile convincere Marianne che sua figlia, dotata di una voce così incantevole, sotto la sua protezione avrebbe fatto fortuna.
La blanchisseuse affidò dunque di buon grado sua figlia alla nobildonna, che era nota in tutta Parigi la sua amicizia personale con la Reine, in virtù della quale era diventata una delle donne più potenti di Francia.
Amicizia intima, e questo sottintendeva nell’immaginario popolare ad amori saffici, che come era risaputo, Luigi XVI era un marito inetto ed un sovrano sottomesso.
A suggellare l’accordo la Duchessa le porse un gruzzolo sostanzioso, e la rassicurazione che avrebbe potuto vedere sua figlia ogni volta che ne avrebbe avuto il desiderio.
Marianne acconsentì.