Fu quella l’unica volta che La Morte esiliò dal suo antro sotterraneo per emergere, nella sua spaventevole bellezza, al mondo a quell’ora addormentato.
Dirompente dagli abissi insondabili dell’epicentro terrestre.
Coperta solo di brina notturna.
E dal manto corvino dei suoi capelli.
Creatura magnifica, La Morte.
Enigmatica. E schiva.
Condannata alla solitudine.
Da un destino desolante ed irreversibile.
Creatura amara. Costretta a celarsi nell’inganno di una tonaca monacale.
Per non suscitare nel fragile animo degli uomini il desiderio di una passione impossibile.
E mortale.
Che già molti del suo profumo si sono invaghiti.
E decisi a seguirne la seducente scia fin dentro le oscurità remote dei suoi domini.
Anticipando l’ineluttabilità del destino.
Fu quella l’unica volta che La Morte esiliò dal suo antro sotterraneo per emergere, nella sua spaventole bellezza, al mondo a quell’ora addormentato.
Giacchè pareva che gli alberi dormissero.
Con i rami chiusi ad ombrello.
E con gli uccelli acquietati dai voli diurni, in riposo tra le foglie e le gemme.
E i funghi, assopiti, sul morbido dei licheni.
E le lumache, assonnate, sotto i tetti di foglie.
Tutta la fauna elementare.
E quella strutturata.
E la razza umana.
Quella degli artisti. Dei drogati. E dei disperati
Quella più sensibile alla seduzione del suo profumo.
Immersa nel sonno.
Quello pesante delle montagne.
Quello disturbato dei vulcani.
Quello fluido delle sorgenti.
Quello tranquillo dei fili d’erba.
Solo il cielo non dormiva.
Perchè il cielo è insonne per natura.
Fasi meteorologiche da elaborare.
Pianeti ed astri da coordinare.
Eclissi e fenomeni paralleli da congegnare.
Un sistema indefessamente operativo.
Obbligato alla veglia.
E, in quell’ora notturna, preposta alla sorveglianza, c’era La Luna.
E La Luna, che è androgina, quando vide La Morte perdutamente se ne innamorò.
Fu quella l’unica volta che La Morte esiliò dal suo antro sotterraneo per emergere, nella sua spaventevole bellezza, al mondo a quell’ora addormentato.
E non era quindi del tutto deserto il mondo.
Nè del tutto addormentato.
Perchè c’era La Luna a sorvegliarlo.
Ad illuminarlo.
Una Luna androgina.
Ammaliata dall’incanto di quella creatura magnifica, che è La Morte.
Dirompente dagli abissi insondabili dell’epicentro terrestre.
Coperta solo di brina notturna.
E dal manto corvino dei suoi capelli.
E La Luna, nel delirio della passione, avvolse La Morte in un abbraccio convulso di luce.
Frammentando i suoi raggi in miriadi di stelle cadenti.
Una pioggia di vetro.
Che rischiarò la notte in un’alba prematura.
E La Morte, abbagliata da quell’ardente inaspettato fulgore, alzò gli occhi e vide La Luna.
E ne rimase incantata.
Impudica, e senza riserve, dischiuse il suo corpo di vergine alle necessità ineluttabili di quell’amore androgino.
Maledetto, come peccato, dal borioso Dio degli Angeli.
Perchè La Luna e La Morte avevano trasgredito ai destini per loro decisi nel progetto del mondo.
Infuriato, nella violenza dell’ira più travolgente, il borioso Dio degli Angeli accecò La Luna. Condannandola tra le nebbie nere di una eclissi secolare.
E deturpò La Morte. Privandola della sua pelle di brina e del manto corvino dei suoi capelli.
Il borioso Dio degli Angeli aveva così ristabilito la sua supremazia.
Ma non si avvide, nella sua furia cieca, del grumo scuro e palpitante che stava germogliando dal ventre, ora scheletrico, della Morte.
Una farfalla notturna. Enigmatica.
Dalle ali brunite.
E con l’effige del teschio impressa sul torace.
Concepita dalla Luna e partorita dalla Morte.
Nel trauma dell’eclissi.
E nel supplizio dello scuoiamento.
Contravvenendo alle leggi del borioso Dio degli Angeli.
Era nata l’Acherontia Atropos.
La Figlia della Luna e della Morte.