Capita che l’amore faccia male, ma senza quel dolore, per alcuni, la vita non ha senso.
…e per continuare a sentire quel dolore, senza cui non avrei potuto vivere, ho iniziato a scrivere.
(Isabel, scrittrice per amore)

LA PERFEZIONE DI UN AMORE
Mio padre costruiva aquiloni, mia madre, invece, imbullonava auto, sono cresciuta, così, con la certezza che al mondo tutto fosse possibile per amore, rivoluzionare, modificare, reimpostare, visto che per i miei era stato possibile farlo attraverso questo stravolgimento dei ruoli, che lungi dall’esser metafora era vita reale.

Quando tornavo da scuola c’era mio padre intento ai fornelli a prepararmi il pranzo, che il suo lavoro di costruttore di aquiloni lo svolgeva nella mansarda di casa, per essere più vicino al vento, come amava puntualizzare.
Non saremmo di certo sopravvissuti con la sua effimera arte, a cui sopperiva, invece, mia madre, con il suo lauto stipendio di meccanico specializzato.
Questa situazione, ritenuta anomala perché antitetica agli standard societari, (mio padre faceva un non-lavoro e mia madre, invece, un mestiere da uomo), era stata lungamente osteggiata dalle reciproche famiglie, ma poi lei era rimasta incinta e sono nata io, evento che forse ha contribuito a ristabilire una seppur illusoria correttezza dei ruoli, anche se durata solo il breve periodo della gravidanza, perché poco dopo il parto è tornata a lavorare, affidandomi, per la maggior parte del tempo, alle cure di mio padre, che trascorreva ore a saggiare la velocità del vento per collaudare i suoi meravigliosi aquiloni, mentre lei, invece, passava le ore stesa sotto la pancia di un’auto per accertarsi della sua tenuta su strada.
Ad ognuno la propria realizzazione nella certezza della reciproca condivisione: è questo l’amore.

Mio padre e mia madre, così diversi e al primo sguardo incompatibili, insieme erano perfetti, ma non così io e lui, seppure addirittura ci somigliassimo perfino fisicamente, tanto da esser scambiati per parenti, fratelli o cugini, e dare l’idea di possedere non solo lo stesso dna ma anche lo stesso cuore.
E così è stato all’inizio della nostra storia.

Per esigenze di privacy continuerò a chiamarlo “lui” omettendo il suo nome, per rispetto e pudore di quel sentimento che ancora testardamente nutro, e scongiurare una sua, seppur remota identificazione, affinché nessuno possa fargli addebito della mia infelicità.
Sarà questo il mio ultimo atto d’amore.

UNA STORIA SBAGLIATA
Ho respirato amore fin dal primo giorno della mia vita, ed è stato quasi naturale, da adulta, che io diventassi una “wedding planner” pianificatrice di matrimoni, professione che paradossalmente  mi ha catapultata nel mondo del reale, strappandomi all’atmosfera idilliaca nella quale ero cresciuta maturando la distorta convinzione dell’infallibilità dell’amore, e consegnandomi ad una più equilibrata consapevolezza della sua, invece, fragilità, avvallata poi dall’esperienza professionale, che però non è servita a preservarmi dall’infelicità.
Personalmente credo che non sia il sacramento del matrimonio a sancire l’amore, io ho sempre pensato, per quel che mi riguarda, che pur incontrando l’uomo della mia vita non mi sarei mai sposata, o se l’avessi fatto avrei optato per una cerimonia scarna e molto intima, perché conosco troppo bene i retroscena e gli inganni di questa messa in scena per volerla adattare a me stessa, anche se questo non mi ha depotenziata nel mio entusiasmo professionale, che mi è valso notorietà e clientela.
In quest’ambito ho incontrato tante coppie e conosciuto le loro storie, di alcuni mi sono giunti anche i finali, e non tutti degni dei fasti dell’altare, perché l’amore per alcuni è finzione, per altri illusione e per molti un inganno.
Ed è sempre in quest’ambito, e in base a statistiche neppure troppo azzardate, che ho incontrato lui, proprio ad un matrimonio: il suo.
Una storia sbagliata, che mai sarebbe dovuta iniziare, ma quando ci si trova intimamente coinvolti non sempre si riesce lucidamente a riflettere, anche se Dio sa quanto ho tentato di farlo.
Matrimonio anticipato e di gran fretta, che la sposa, già al secondo mese di gravidanza, scalpitava, che se fosse aumentata anche di una sola taglia non avrebbe potuto indossare l’abito dei suoi sogni.
Una sposa molto giovane, molto bella, molto ricca, molto prepotente, di quelle abituate ad avere il mondo ai piedi, a non sentirsi mai dire no, ma alla fine destinate a non avere più alcun desiderio d’avverare, nessun progetto da realizzare. Nessun sogno su cui fantasticare.
Sembrerà strano, ma per lei, viziatissima ragazza, ho provato tenerezza e tristezza, l’ho vista come una reclusa a cui, però, venendo concesso tutto, la si priva della volontà di voler evadere.
Ed eccola, allora, futilmente dispiegare tutte le sue energie al solo fine di poter indossare un principesco abito bianco che non l’avrebbe resa di certo più bella, perché su di lei anche la più semplice delle sottovesti sarebbe stata incantevole.
Un abito che non avrebbe mai più indossato, dimenticato nel fondo di un armadio, sommerso da  una miriade di altri abiti principeschi.
Erano la sposa e la madre, una donna dallo sguardo mansueto sotto la fronte spianata dal lifting,  ad occuparsi, con me, dell’organizzazione della cerimonia e anche del viaggio di nozze, che tutto doveva essere pianificato nei minimi dettagli, così da scongiurare  imprevisti ed avventure, insomma quelle cose che, a parer mio, amplificate nella narrazione con effetti speciali, sarebbero state invece ricordate negli anni futuri con un sorriso, e avrebbero notevolmente arricchito di un’eredità aggiuntiva, figli e nipoti.
A saldare i conti, invece, erano incaricati il padre della sposa, un anziano uomo grintoso, e il futuro marito, un giovane dai modi cordiali: lui.

CONTATTI TELEFONICI

Isabel, non è che il suo albero genealogico vanta parenti texani?
Un’emoji dubbiosa a siglare il suo interrogativo.

Anche lui aveva rilevato la nostra somiglianza fisica: stessi occhi verdi dal taglio allungato, sopracciglia ben distanziate, fronte e zigomi alti, capelli bruni e ribelli, ad incorniciare il viso dai tratti regolari e dalla carnagione chiara.

Le mie origini sono inglesi, Londra, per la precisione. E i miei genitori sono gli unici immigrati della famiglia. Escludo qualsiasi parentela texana.
La mia risposta corredata da uno smile.

Ho un fratello maggiore, ma ho sempre desiderato una sorella. Posso adottarla come tale?
A seguire un piccolo cuore.

Ha la fortuna di avere un fratello, se lo tenga stretto, glielo suggerisce una figlia unica.
Faccina ironica, a schiudere la conversazione.

CONTATTI MECCANICI
E forse non ci sarebbe stato seguito se non che il giorno stesso delle nozze, l’auto nuziale, una “Limousine Extra Lusso President”, non si riusciva a mettere in moto, e questo aveva scatenato l’isteria della sposa poiché il meccanico di famiglia risultava irraggiungibile al cellulare, e allora sono stata interpellata d’urgenza per trovare un rimedio.
La soluzione l’avevo pronta, in casa, e seppure con qualche fatica convinsi mia madre, ormai in pensione, ad accompagnarmi in veste di meccanico.
Ovviamente la sua apparizione, in tuta da lavoro e cassetta degli attrezzi, aveva destato scetticismo ed imbarazzo, che pur è vero che qualunque sia il secolo in corso riaffiorano sempre gli stessi pregiudizi, ma che lei, la mia incredibile madre, chinata sul motore come un chirurgo sul torace di un cardiopatico, concentrata ad auscultare battiti e vibrazioni per individuare il mancato contatto che generava l’aritmia, aveva spazzato via con un’alzata di sopracciglio, quando il motore, senza neppure un tentennamento, aveva ruggito tutta la sua potenza.
Alla fine, per lei, applausi e strette di mano, per quel duplice miracolo: la messa in moto dell’auto e aver disinnescato la collera della sposa.