FLEUR. FLEUR. FLEUR
Il corteo funebre, lento e composto, s’era dipartito dalla Cattedrale di Santa Maria la Menor alla volta del cimitero locale dove, Coralie e Philippe, sarebbero stati tumulati insieme in un unico loculo opportunamente predisposto nella cappella di famiglia.
A far da sfondo al nero corteo, una mattinata tersa e azzurrissima e già dalle prime ore molto calda, che si proponeva beffarda come un insulto ai morti che non avrebbero, di quel cielo e di quel sole, mai più goduto, e una sfida ai vivi che boccheggiavano nelle corazze degli abiti del lutto, quasi fossero chiusi essi stessi in una bara.
Ferrer, dal suo angolo strategico aveva individuato nelle prima fila del corteo funebre, il console Petit al braccio di Celeste e Fleur, (la piccola Fleur, che pure nell’anonimo vestitino nero risaltava su tutti, abbagliante come una stella di mezzogiorno) e sulla stessa fila le due nonne che si sostenevano l’una all’altra, rimpicciolite ed indifese, procedevano come sonnambule sul percorso tracciato dal carro funebre, con i visi nascosti dalle velette nere dei loro antiquati cappellini.
E questo particolare aveva richiamato alla memoria di Ferrer, l’innocente e anacronistico “program du bal” che Fleur gli aveva porto, nel loro primo incontro, affinché lui lo autografasse per Ermelina Hortega.
E la commozione s’era tramutata, dietro gli occhiali neri, nelle lacrime amare del ricordo:
Fleur, vestita di un abitino primaverile verde chiaro, dello stesso colore dei suoi occhi, e i capelli biondi, quasi albini, ordinati in un triplice gioco di trecce.
Fleur annoiata che giocherella con l’orlo della gonna, battendo le dita al ritmo della musica sulle ginocchia.
Fleur, che ha voglia di ballare ma è costretta, in castigo su una sedia, a scontare il peccato di essere ancora così giovane.

Fleur, che avrebbe voluto stringere tra le braccia senza altro intento se non quello di farla ballare fino a che lei sfinita si sarebbe poi addormentata sul suo petto, dove lui si sarebbe beato solo di vegliarla.. Non chiedeva, e non desiderava altro, se non di condividere con lei l’intimità, silenziosa e mistica degli amanti che oltrepassando il confine del sesso, finalmente affrancati dalle catene dei sensi, vivono nella dimensione, esclusiva e privilegiata, dei sentimenti.
Fleur: stordente, deliziosa perdizione.

Doveva parlare con lei, sentiva la necessità di spiegarle che le orrende illazioni sul suo conto erano frutto di un terribile equivoco, che in lui non albergava l’stinto del corruttore e che, nonostante il disperato bisogno di lei, non l’aveva mai sfiorata, e nè mai l’avrebbe fatto, se non nel fuggevole contatto di un ballo. Era amore puro quel suo sentimento malamente frainteso.
No, nessuno avrebbe mai potuto accusarlo di nulla, che s’era limitato a sognarla e desiderarla nell’oscurità dei suoi sensi ma con la purezza della sua anima, e le supposizioni infamanti di Celeste non costituivano prove di reato. In ogni caso,qual’ora fosse stato, anche lui avrebbe avuto diritto ad una difesa per dimostrare la sua innocenza e ribaltare l’ingiusta condanna a non vedere più Fleur. Addirittura, a questo ipotetico tribunale, avrebbe potuto avanzare la richiesta di un risarcimento per i danni inflitti al suo amore e al suo onore, ma pure non gli sarebbe importato se solo gli fosse stato concesso di poter continuare a ballare con Fleur.
Null’altro chiedeva.
Il giorno dopo sarebbe andato a casa Petit per porgere le sue condoglianze e chiarire quell’imbarazzante fraintendimento.
Questa sua decisione lo aveva tranquillizzato e così, predisponendosi all’attesa, aveva deciso di anticipare il corteo funebre all’ingresso del cimitero per avere ancora la possibilità di scorgere, seppure alla distanza, Fleur.

Il corteo aveva varcato il cancello del camposanto e la folla, all’inizio serrata, s’era poi sparpagliata nei viali adiacenti alla cappella, smembrandosi in piccolo capannelli, mentre il gruppo dei famigliari, in forma privata,  presenziava al suo interno alla tumulazione.
Ferrer, prima ancora d’intercettare Fleur , aveva invece visto Arturo Serrano, inglobato nel gruppo dei famigliari, avvicinarsi a Celeste, parlarle all’orecchio, prenderle la mano e rimanere poi così senza discostarsi da lei.
Un gesto intimo, quello, che prevaricava l’amicizia.

– Nulla è più idoneo di un evento pubblico per rendere noto un fidanzamento. –
Blanca lo aveva colto di sorpresa, meglio ancora in flagranza di reato, ed ora sarebbe stato impossibile liberarsi di lei. Come una mosca sarcofaga, richiamata dall’odore della morte, lei s’apprestava a deporre le sue uova nella carne in putrefazione. Doveva solo scegliere il cadavere.

– Ne sapevi qualcosa? –
Ferrer aveva cercato di dare alla sua voce un tono neutro che il pallore del volto, però, smentiva.
– Ho tentato di dirtelo quando sei tornato da Hollywood, la sera che hai dormito da me, ma tu non me ne hai dato il modo. Non ho mai disatteso al nostro patto. E alla nostra amicizia. –
La risposta sferzante di Blanca gli aveva fatto intendere che lei, invece, aveva capito che lui le stava nascondendo qualcosa.-
– Il buon Serrano, novello Giuda ha rivelato la sua anima criminale, mentre la tua, Francisco, sta rammollendo nel sentimentalismo. Ed eccoti in balia della tua stessa ombra e di quelle dei tuoi amici malvagi. –
La risata di lei era risuonata fredda e cattiva come una scudisciata e lui, d’istinto, s’era ritratto per schivarla. Odiava Blanca con lo stesso fervore con cui odiava Serrano.

– Me ne vado, ma tu rimani pure a goderti lo spettacolo. –
Non c’era ironia nella frase di Ferrer quanto piuttosto una sottile canzonatura, consapevole che lei l’avrebbe colta e non l’avrebbe perdonato, decretando così la fine del loro patto.


LA STRATEGIA DEL RAGNO
Ferrer rifletteva che in  ultimo le persone a lui più care, e nelle quali aveva posto la sua fiducia aprendo perfino il suo cuore, lo avevano tradito. Tramando alle sue spalle, con modi e fini diversi, lo avevano usato per raggiungere i propri obiettivi. Serrano, Blanca e Josette, s’erano serviti di lui per il loro miserabile tornaconto. Forse perfino complici in quell’odiosa congiura.
Era stato cieco e stupido a non aver capito. A non aver visto.
Alla summa dei fatti, però, ad una loro più attenta analisi, la logica degli eventi balzava istantanea agli occhi, senza neppure doversi troppo arrovellare in congetture astratte o ipotesi possibilistiche.
Il ragno quando tende la sua ragnatela lo fa alla luce del sole, non la nasconde ma strategicamente la tesse con fili sottilissimi degli stessi colori dell’aria e della luce. Inganno artistico e psicologico in cui la mosca, inconsapevolmente, e a passo di danza, va ad intrappolarsi.
Tutti loro erano stati molto abili a tessere le geometrie di quella loro ragnatela, e con una tempistica perfetta, approfittando del suo stato di smarrimento lo avevano spinto fra le sue maglie, con gentilezza e senza sforzo alcuno, cosicché benissimo si sarebbe potuto dire che nella trappola ci si era cacciato da solo. E a passo di danza. Coercizione d’incapace, avrebbe stabilito un’ipotetica giuria di un ipotetico tribunale, chiamata ad emanare un verdetto con cui, se si ridimensionava l’eccellenza criminale dei suoi amici malvagi, di contro si attestava la sua menomazione mentale. Inaccettabile per lui.
Si sarebbe allora fatto giustizia da solo.

Ma prima di ogni cosa avrebbe dovuto parlare con Fleur, confessarle il suo amore, facendo attenzione, però, a non spaventarla col subbuglio delle parole, appassionate e struggenti, che nella foga della dichiarazione sarebbero potute implodere incoerenti e folli, che per troppo tempo erano state tenute alla catena, dentro al suo cuore. Una trappola anche quella.

Le parole, soprattutto se pronunciate in uno stato di intensa emotività, di esaltazione, facilmente possono ingarbugliarsi tra di loro, inseguirsi e moltiplicarsi, straripare e insensatamente prendere il sopravvento sui silenzi. E sugli sguardi. Così lui si sarebbe limitato alle sole essenziali: ti amo, Fleur.
E poi le avrebbe messo in mano il suo cuore.

IL COLORE DEGLI OCCHI DI FLEUR
– E’ un lavoro non di semplice esecuzione, signor Ferrer, in particolare per l’incastonatura della mezza luna all’interno dell’acquamarina. Un lavoro delicato e che richiede tempo. Impossibile per domani. –
Aveva detto l’orafo in tono dispiaciuto, nell’atto di restituire la mezza luna d’oro bianco, l’orecchino da corsaro che Ferrer s’era sfilato dal lobo dell’orecchio sinistro.
– E’ un favore per il quale sono disposto a pagare qualunque prezzo. –
Aveva rilanciato lui ,senza dar modo all’altro di replicare, aveva aggiunto: vi pagherò l’acquamarina allo stesso prezzo di un diamante.
All’refice non era rimasto che alzare le mani in segno di resa, e poi l’inevitabile domanda: toglietemi una curiosità, signor Ferrer, perché l’acquamarina e non un diamante?
– Perché acquamarina è il colore degli occhi di Fleur –

L’AMICO MALVAGIO
Dopo esser uscito dalla gioielleria, Ferrer s’era diretto con passo spedito verso casa di Josette, allo scopo di farle confessare, con le buone o le cattive, il ruolo da lei espletato all’interno di quella congiura ordita a disonorarlo agli occhi del mondo e a quelli di Fleur. Iniziava da lei non perché la ritenesse la mente strategica diquel diabolico piano volto alla sua distruzione, (la sua intelligenza, modesta quanto la sua fantasia, la  relegava, nella vita come sul set, a ruoli secondari, e semplici comparsate) ma solo perché era quella al momento reperibile, immaginando che Serrano, in quanto fidanzato di Celeste, sarebbe stato trattenuto a casa Petit.
Serrano il traditore, aveva tramato alle sue spalle imbastendo, con pazienza e astuzia, quella sottilissima ragnatela  dove lui, come una mosca cieca, s’era lasciato intrappolare. Approfittando del suo momento di smarrimento, e attraverso un perfetto gioco d’incastro di menzogne, pianificate a tavolino, e verità all’occorrenza distorte, l’amico malvagio, l’aveva messo in cattiva luce agli occhi della famiglia Petit, e per un momento perfino ai suoi stessi, inducendolo, con astuzie psicologiche e raffinati sofismi, a dubitare della purezza del suo amore per Fleur. Con estrema abilità narrativa Serrano aveva mistificato il suo sentimento, traducendolo in qualcosa di orribile e peccaminoso.
Con quell’ingannevole racconto aveva però conquistato la fiducia e il cuore di Celeste.
Così ora immaginarlo seduto al suo posto al tavolo dei Petit lo colmava di una rabbia feroce che gli faceva ribollire il sangue e annebbiare la vista. Lui, da sempre immune dal morbo della gelosia, d’improvviso si scopriva invaso dalle sue metastasi cancerogene.
Infettato, e senza possibilità di cura.

Ferrer aveva bussato alla porta di Josette e, con sorpresa, era venuto invece ad aprirgli un uomo anziano, in veste da camera e  in pantofole, e quando quello gli aveva detto che lì non vi abitava nessuna Josette ma piuttosto che quella era casa sua, lui con spinta lo aveva fatto da parte e facendo irruzione nelle stanze chiamando a gran voce, e con gli epiteti peggiori, la sua ex amante. La vista della finestra della cucina, priva della gabbia dei colibrì da cui mai si sarebbe separata, lo aveva infine convinto che lei non abitava più li.

– ‘fanculo Josette, stupida puttana, hai perso la tua unica occasione di salire alla ribalta da protagonista. –
Aveva inveito Ferrer all’indirizzo del fantasma di lei. E poi era scoppiato in una gran risata.

In quello stato di esaltazione emotiva aveva camminato a lungo, e senza meta, preferendo la solitudine della strada a quella della propria casa. In modo confuso rivendicava il suo diritto ad un asilo, a parole di conforto, e perfino aalla solidarietà di un abbraccio. Scoprendosi d’improvviso orfano, il suo pensiero, con una fitta al cuore, era andato a suo figlio Sebastian, l’orfano da lui concepito e la cui salvaguardia, al momento della nascita, aveva affidato a Santa Martha Dominadora, abiurando così, da subito, al suo ruolo di padre, e a quanto poco posto Sebastian occupasse nel suo cuore se di lui s’era ricordato solo nel momento della disperazione. Non aveva così nessuna ragione di chiedere, proprio a lui, quell’abbraccio, quell’intima condivisione che lui stesso, per primo, gli aveva negato.
Troppo tardi per i sensi di colpa e per i rimorsi, così lo avrebbe tenuto fuori, anche stavolta, dalla sua vita, come atto d’amore, però. Il suo unico nei suoi confronti, e di cui mai, forse, avrebbe saputo.

S’era in ultimo risolto ad andare da Blanca, l’avrebbe costretta a confessare la verità sui fatti e sul ruolo da lei rivestito in quella congiura, e poi…poi cosa avrebbe fatto? L’avrebbe uccisa. Non avrebbe avuto altra scelta perché lei non gliel’ avrebbe lasciata.

UNA CANZONE PER FLEUR
Le finestre della villetta di Blanca erano tutte illuminate, sagome scure si delineavano al suo interno, coppe di champagne e ventagli, gli invitati ad una festa da cui lui era escluso, e dai vetri aperte trapelavano le note, dolci e struggenti di una canzone che lui non conosceva ” Dream a Little Dream Of  Me”

“Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me”

Cantava, nella notte stellata, Ozzie Nelson, consegnandogli le parole giuste da dire a Fleur nel momento dell’addio.

“Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me”

Erano queste le frasi con cui avrebbe confessato il suo amore a Fleur.

S’era seduto su una panchina del giardinetto adiacente la villa di Blanca, la musica giungeva fin lì.
Un buon posto dove attendere il giorno.

SOGNA UN PICCOLO SOGNO DI ME
L’orafo aveva mostrato orgoglioso a Ferrer l’anello commissionatogli  per Fleur: una splendida acquamarina intagliata a forma di cuore al cui centro riluceva la mezzaluna del suo orecchino piratesco, come un cuore spezzato o due cuori ricongiunti. Ma questo lo avrebbe deciso Fleur.
L’avrebbe attesa all’uscita della scuola per darle il suo anello e confessarle il suo amore.
Sogna un piccolo sogno di me, (il resto della strofa lo aveva dimenticato) le avrebbe sussurrato tra i capelli e qualunque fosse stata la sua risposta, Ferrer sapeva che quella sua dichiarazione era la cosa più giusta da fare. La confessione di un uomo l’amava più della sua stessa vita. E del suo onore.
Non un uomo disperato di non poterla forse avere, ma un uomo felice, nonostante tutto, di amarla.
L’aveva, però, attesa invano, che quel giorno Fleur a scuola non era andata perché in lutto per la morte della madre e del fratello.
Stupido a non averci pensato. Ferrer malediceva la sua dabbenaggine, ma non riusciva a ragionare lucidamente, stravolto dagli avvenimenti del giorno prima e dalla veglia notturna sulla panchina.
Era come se tutto gli sfuggisse di mano. Doveva parlare con Fleur prima di chiudere la partita con Serrano. E così s’era appostato nei pressi di casa Petit, intenzionato ad attenderla, se fosse stato necessario, fino alla fine dei suoi giorni. Aveva smesso di sperare negli aiuti divini da quando Santa Martha Dominadora si era fatta così crudelmente beffa di lui, e anche di credere al destino…non esiste nessun destino se non siamo noi a programmarlo. E lui, il suo, lo aveva programmato. Così poteva contare solo sulla sua volontà affinché quello si attuasse. S’era predisposto ad una lunga attesa quando, invece, Fleur s’era materializzata sulla porta e, inaspettatamente da sola. Il cuore di Ferrer aveva iniziato a martellargli forte nel petto e le tempie gli dolevano. E una lacrima di gioia e di orgoglio era sgorgata alla vista di Fleur, vestita nel severo abito del lutto e i capelli raccolti sul sommo del capo. Mai le era parsa così bella e sensuale. Una donna. Il nero le si addiceva molto più delle tinte pastello, aveva pensato guardandola ammirato, meravigliosamente ne sublima la sua bionda bellezza. Quella di una donna e non di una bambina. L’aveva  seguita intenzionato a palesarsi al momento opportuno e, se possibile, l’avrebbe convinta a seguirlo in un luogo tranquillo dove poter parlare. E così quando lei s’era fermata in attesa del verde del semaforo per attraversare la strada, lui le si era affiancato e le aveva detto: devo parlarti Fleur. A quella richiesta lei era sussultata, e lo aveva guardato stupita, quasi non lo riconoscesse

– Francisco, per l’amor di Dio, andate via che mi è proibito parlare con voi. –
Istintivamente s’era scansata da lui.

– Per favore, Fleur, è terribilmente importante. Prometto che sarà una faccenda breve, ma per me è questione di vita o di morte. –
La disperazione trapelava dalla sua voce.

– Non abbiamo niente da dirci. Lasciatemi stare. –
Nella voce di lei, invece, c’era paura e fastidio.

– Ti prego, Fleur. Ti prego. Non t’importunerò più, ho solo bisogno di parlarti per un’ultima volta.-
La implorava e le parole sapevano di lacrime. Ma lei, impaurita, prendeva le distanze cercando rifugio nella folla. E allora lui, per paura di perderla, l’aveva trattenuta per un braccio, ma Fleur s’era liberata e con uno scarto s’era lanciata ad attraversare la strada prima ancora che il semaforo segnasse il via libera pedonale. E una macchina l’aveva travolta.

Ferrer era rimasto paralizzato al suo posto mentre qualcuno, tra i pedoni, s’apprestava a soccorrerla.  Ma non c’era stato nulla da far,e e una donna le aveva coperto il volto col suo foulard.

Ferrer era rimasto immobile nel suo lembo di marciapiede fissando incredulo Fleur distesa sull’asfalto, col suo abitino nero e il viso coperto da quel foulard anonimo, da un lembo del quale fuoriusciva la sua treccia bionda. Poi, a sirene spiegate, erano giunti l’ambulanza e una macchina della polizia. Il medico ne aveva accertato il decesso e un poliziotto aveva tratteggiato con un gesso la posizione terminale del cadavere. E dopo aver raccolto le dichiarazioni dei testimoni presenti all’accaduto, Fleur era stata chiusa in una “body bag” e l’ambulanza era ripartita a sirene spente.

UN MESE DOPO

UNA FESTA  SENZA INVITATI
Nella grande sala priva di mobilio, costeggiata da una sequenza di divani blu china ordinatamente addossati alle pareti, sotto la luce di cristallo degli enormi lampadari liberty, s’aggirava Ferrer, unico partecipante, con in una mano una coppa di champagne e nell’altra il suo ventaglio nero. Nell’angolo concavo, adibito per l’orchestra, Ozzie Nelson cantava, per l’ennesima volta consecutiva,”Dream a little dream for me”. Non vi sarebbero state richieste di altre canzoni, e quella sarebbe stata l’esclusiva colonna sonora di quella privatissima festa.

“Dì buona notte e baciami. Solo stringimi forte e dì che ti mancherò. Mentre sarò solo e triste più che mai. Sogna un piccolo sogno di me”

Il colpo di pistola alla tempia, Ferrer, l’aveva magistralmente sincronizzato sull’ultima nota.

FRANCISCO E FLEUR
Il giorno dopo, Arturo Serrano, aveva trovato sulla sua scrivania una lettera sigillata, una voluminosa cartellina, e una scatolina con il logo di una prestigiosa gioielleria. Aveva subito riconosciuto, la grafia, slanciata ed elegante, di Francisco Ferrer. Non aveva più notizie di lui da un bel pò di tempo, ma a dir la verità neppure lo aveva più cercato, che quell’ultimo periodo, per lui e per Celeste, era stato un denso susseguirsi di avvenimenti infausti: la morte di Coralie e di Philippe e subito dopo quella di Fleur.
Conoscendo intimamente Ferrer, immaginava che lo ritenesse responsabile di chissà quali oscure trame per tenerlo lontano da Fleur, e magari di aver brigato alle sue spalle per conquistare Celeste. Ma le cose non erano andate così, lui non aveva approfittato delle debolezze dell’amico per mettersi in luce agli occhi di Celeste, e lei se n’era innamorata forse proprio per questo, intravedendo in lui quelle doti di schiettezza, onestà e lealtà, sintomi della natura superiore di chi non basa i propri successi sulle debolezze altrui, ma esclusivamente sulle proprie forze. Celeste, quando aveva capito che se ne stava innamorando, con naturalezza glielo aveva confessato. Solo allora, Serrano, le aveva detto che lui l’amava in silenzio dalla prima volta che l’aveva vista. Per questo, lui, baciato dall’amore, pure capiva la sofferenza di Ferrer e la sua disperazione, ma non ne approvava i metodi.
La sua ossessione per Fleur lo stava divorando. Deformando. Trasformando in qualcun altro.

Eppure non si decideva ad aprire quella lettera, che rigirava tra le mani. La grafia, non c’era alcun dubbio, era proprio quella di Ferrer, anche se lui non amava troppo scrivere, un esercizio noioso che di solito delegava alla sua segretaria. Ma  questa, invece, era vergata a mano da lui, così come pure manoscritto che recava, come titolo sul frontespizio, il nome di Fleur.
Con un senso d’angoscia s’era risolto, infine, ad aprire la busta

Arturo, un tempo siamo stati amici ed è in nome di quell’amicizia che io confesso a te il mio delitto, consapevole che la tua cruda, cristallina onestà morale, t’impedirà di farmi sconti di pena, a differenza della giustizia legale che non mi avrebbe mai condannato in quanto materialmente non mandante, e neppure esecutore, del delitto di cui, invece, me ne assumo la piena responsabilità: la morte di Fleur.
Fleur l’ho uccisa io. Fuggiva da me quando la macchina l’ha investita. Fuggiva da me e dal mio amore sbagliato. E’ quello di cui l’avete persuasa, e di cui ora ne ho anch’io la convinzione. Quel  giorno ero andato da lei solo per dirle che l’amavo di amore puro ma avrei rinunciato a lei se non fossi stato contraccambiato. Ti confesso che in caso di diniego mi sarei ucciso, cosicché il mio destino, presumo fosse fin da subito tracciato. Inappellabile. Le avevo portato in dono un piccolo anello, un gioiello da collegiale: un cuore di acquamarina con incastonata la mezzaluna del mio orecchino. Un cuore spezzato o due cuori ricongiunti, secondo il verdetto di Fleur a cui io mi sarei attenuto. Non le avrei mai fatto del male. Non intenzionalmente, così come invece è accaduto. Questa mia lettera non vuole essere un j’accuse nei confronti di nessuno, e neppure una richiesta di attenuanti per me, ma solo il racconto della dinamica dei fatti. E la mia ammissione di colpevolezza.  Avrei voluto morire anch’io quel giorno stesso, che senza Fleur la vita per me non ha alcun senso, e invece, come un condannato in attesa del boia nel braccio della morte, mi sono costretto a vivere ancora il tempo necessario per raccontare, in questo manoscritto, la storia della breve vita di  Fleur, del mio amore troppo grande e disperato, che alla fine l’ha uccisa. Il mio tributo a Fleur, perché tutto il mondo la ami così come l’ho amata io. Lascio tutto nelle tue mani, Arturo, fà quello che ritieni giusto, che la mia anima dannata, qualunque cosa tu decida, te ne sarà in eterno riconoscente.

Serrano aveva allora aperto la scatolina dove, all’interno, il piccolo cuore di acquamarina riluceva del bagliore della mezzaluna di Ferrer.
Fleur, senza l’amore disperato di Ferrer, sarebbe passata inosservata al mondo.
Fleur era esistita perché era esistito Ferrer.
E alla luce di questa commovente, veritiera rivelazione, Serrano, s’apprestava a leggere il manoscritto di Ferrer.

“La prima volta che Francisco Ferrer l’aveva vista, Fleur Petit (ma dal suo entourage affettuosamente chiamata Petit Fleur ) indossava un vestito primaverile verde chiaro, dello stesso colore degli occhi, e aveva i capelli biondi, quasi albini, ordinati in un triplice gioco di trecce.
Seduta fra due matrone vestite di scuro (la nonna paterna e quella materna), spiccava per la luminosità della sua aura e per quella veste da bambina che la diversificava dal resto degli invitati, rigorosamente in abito da sera.
Troppo giovane per sfoggiarne uno e troppo giovane per poter ballare, Fleur, visibilmente annoiata, giocherellava con l’orlo della gonna, battendo le mani sulle ginocchia al ritmo della musica, motivo per cui le due nonne, a turno, la riportavano al decoro della postura con invisibili pizzicotti.
Un richiamo, quello delle due generalesse, a cui lei obbediva solo per un momento, per poi subito ricominciare quella sua mimica.
Chiaramente si vedeva che aveva voglia di ballare e che era una sofferenza per lei rimanere seduta, in castigo, a scontare il peccato di essere ancora così giovane.
Ma perché portarla al ballo se poi non le era concesso neppure di potersi muovere?”