A RITMO DI JAZZ

IL PRIMO BALLO
La prima volta che Francisco Ferrer l’aveva vista, Fleur Petit (ma dal suo entourage affettuosamente chiamata Petit Fleur ) indossava un vestito primaverile verde chiaro, dello stesso colore degli occhi, e aveva i capelli biondi, quasi albini, ordinati in un triplice gioco di trecce.
Seduta fra due matrone vestite di scuro (la nonna paterna e quella materna), spiccava per la luminosità della sua aura e per quella veste da bambina che la diversificava dal resto degli invitati, rigorosamente in abito da sera.
Troppo giovane per sfoggiarne uno e troppo giovane per poter ballare, Fleur, visibilmente annoiata, giocherellava con l’orlo della gonna, battendo le mani sulle ginocchia al ritmo della musica, motivo per cui le due nonne, a turno, la riportavano al decoro della postura con invisibili pizzicotti.
Un richiamo, quello delle due generalesse, a cui lei obbediva solo per un momento, per poi subito ricominciare quella sua mimica.
Chiaramente si vedeva che aveva voglia di ballare e che era una sofferenza per lei rimanere seduta, in castigo, a scontare il peccato di essere ancora così giovane.

Ma perché portarla al ballo se poi non le era concesso neppure di potersi muovere?
Si era chiesto Francisco Ferrer, divertito e intenerito da Fleur: una farfalla intrappolata in un retino a cui perfidamente veniva concessa l’aria per respirare, ma non per volare.
Occorreva liberarla dal peso della forza di gravità delle due matrone che la tenevano inchiodata a quella sedia, lasciarla libera di saggiare il suo angolo di cielo e tutti gli elementi lì tenuti a dimora. E un vento selvaggio che le sciogliesse i capelli e sollevasse, ben oltre le ginocchia, l’orlo di quella sua vesticciola puerile, con la complicità ruffiana di un sole caldo e suadente che pacificamente la penetrasse nei sensi ancora immaturi per completare la metamorfosi.

E la premonizione che sarebbe stato lui quel vento e quel sole

Francisco Ferrer, dopo aver prelevato due rose color carminio da uno dei tanti bouquet sparsi a decorare la sala, con passo deciso, e col suo sorriso più seducente, s’era diretto verso di loro, conscio dell’impatto visivo, ed emozionale, che sempre esercitava sulle donne.
Pur non essendo molto alto sembrava occupare, con la sua sola presenza, l’intera sala.
Bello come un dio azteco, nel volto bruno dagli zigomi alti rilucevano gli occhi colore dell’ambra.
Al lobo sinistro sfoggiava un orecchino, una mezza luna d’oro bianco, un dettaglio da pirata che spiccava contraddittorio sull’elegantissimo smoking, corredato dall’accessorio, inusuale per un uomo, di un ventaglio di seta nera che sfoggiava con nonchalance e naturalezza innata.

In una mano le due rose e nell’altra il ventaglio con cui negligentemente andava facendosi vento, Ferrer aveva attraversato il salone, seppur con qualche difficoltà, che ad ogni passo veniva fermato da qualcuno degli invitati per un saluto o l’inizio di una conversazione a cui lui, però, in qualche modo abilmente si sottraeva per giungere finalmente all’angolo appartato dove erano confinate Fleur e le due nonne, fermamente intenzionato ad irretirle per strappar loro il consenso di ballare con la piccina

– Signore, permettete che mi presenti? Francisco Ferrer –
Lievemente chinandosi, s’era così presentato, porgendo ad ognuna una rosa.

– Quel Ferrer? L’attore? –
La domanda era stata formulata con voce severa, e niente affatto amichevole, da una delle due generalesse, che benissimo avrebbero potuto esser sorelle tanto si somigliavano, tranne per il particolare delle sfumature della pelle, che in quella che aveva parlato aveva i toni del caffelatte e nell’altra, invece, di candida panna.

– Ah signora, mi si ricorda sempre in quella veste e mai in quella che più mi è cara, dello scrittore –
Aveva risposto sorridendo e battendosi in gesto teatrale il petto, dalla parte del cuore, e suscitando il riso divertito di Fleur che all’occhiataccia della nonna color caffèlatte s’era subito ricomposta, attenta però a non perdersi neppure una parola di quella strana conversazione da cui era esclusa.

– Sapete chi sono, signora, e questo mi gratifica molto. Ulteriormente lo sarei se aveste visto un qualche mio film, avrei così al riguardo il piacere di un vostro giudizio più diretto –
Voce calda e sorriso fascinoso, gli strumenti infallibili di cui si sarebbe servito per scavare una breccia nel cuore della virago, che immaginava pure dovesse possedere, anche se pressato dal corsetto dell’abito e i troppi strati di carne.

– Da quando agli attori è stato concesso di parlare ho smesso di andarvi. Il sonoro non mi attrae…  ancor meno fuori dal cinematografo –
Aveva tagliato corto lei considerando chiusa la conversazione, se non che a sorpresa, e con un certo entusiasmo, s’era intromessa l’altra nonna che aveva detto: Ermelina Hortega, la mia più cara amica nonché suocera del maggiore dei miei figli, è una sua fervente ammiratrice, credo abbia visto tutti i suoi film…immagino il suo stupore quando le racconterò di aver fatto la sua conoscenza.

– Se crede che sia cosa gradita alla sua consuocera, posso farle un autografo –
Suggerimento calorosamente accolto dalla nonna color panna che subito aveva preso a frugare nella sua minuscola borsetta da sera alla ricerca di una porziuncola di carta su cui fargli apporre l’autografo. Una ricerca febbrile quanto vana, e sotto lo sguardo di ostile riprovazione dell’altra, e così a prestarle soccorso era intervenuta Fleur nelle cui mani s’era materializzato un obsoleto, innocentissimo “program du bal”, dalle pagine vergini, e la cui apparizione aveva commosso il cuore corsaro di Francisco Ferrer.
Lei glielo aveva spontaneamente porto dicendo: ecco, può scrivere qui.
Lui sorridendo lo aveva vergato con la sua elegante firma, e nel restituirlo aveva detto: aggiungetemi alla lista.

– Non c’è nessuna lista. Fleur è troppo giovane per ballare –
Aveva ribadito con gli artigli sguainati la nonna color caffelatte
– E’ solo un ballo, non vedo il motivo di negarle questa esperienza –
La replica immediata della nonna color panna, decisa quanto l’altra a far valere il suo punto di vista
– Un solo ballo. Per sgranchirsi le gambe –

Fleur aveva solo quindici anni quando gli concesse quel primo ballo.
Il primo di una lunga serie.
Francisco di anni ne aveva il doppio, un matrimonio fallito, un figlio minorenne e ombroso, e una schiera infinita di amanti, tutte esclusivamente bionde.
Ma tutto questo era stato prima dell’arrivo di Fleur, la più bionda di tutte.

 

FLEUR: STORDENTE, DELIZIOSA PERDIZIONE
Tenere tra le braccia, sia pur solo nella coreografia del ballo, Petit Fleur, aveva suscitato in Francisco Ferrer desideri inediti, un misto di lussuria e fratellanza, il desiderio di essere per lei il fango e l’arcobaleno, la perdizione e la salvezza, l’oltraggio e il perdono, Satana e l’arcangelo Michele.
Nessun’altra donna, come questa piccina, era stata in grado di scaraventarlo nell’abisso primordiale dei sensi, dove sentimenti e pulsioni erano un tutt’uno, strettamente, convulsamente annodati. Inestricabili. Indivisibili.
La sottile, stordente, inconsapevole fragranza adolescenziale di Fleur gli aveva permeato i sensi, dannandolo e rinvigorendolo al contempo, facendolo impazzire di quel desiderio di cui neppure lui conosceva la vastità e solo vagamente ne poteva presagire il potere distruttivo, che già si manifestava coi sintomi dell’insonnia, dell’indolenza, della vacuità del pensiero e dello sguardo, e invano tentando di capire quello che gli stava accadendo, di trovare un nome, o un significato, a definire quelle sensazioni frastornanti ed equivoche di cui era in balia.
Ma un nome c’era, ed era quello di Fleur.
Era il nome di lei che invocava nelle sue notti insonni, evocandola, implorandola, maledicendola. Non si dava pace in quel suo letto, avrebbe voluto averla vicino solo per respirare il profumo di primavera che emanava dalla sua pelle e dai suoi capelli di pallido sole ed inebriarsi dell’odore giallo e dolce del miele di tarassaco, quello stesso che immaginava permeasse il suo sesso di vergine.
Era quel profumo, associato all’immagine di Fleur nuda, che maggiormente lo eccitava come il più potente degli afrodisiaci, nel piacere solitario della masturbazione.
Fleur. Fleur. Fleur
Fleur: stordente, deliziosa perdizione.

DESTINI
Ferrer aveva discretamente indagato per sapere qualcosa di più sulla piccola dea che gli aveva scippato il sentimento, poche informazioni, però, che la vita di Fleur era davvero all’inizio e su di lei non c’era molto da raccontare, se non che era la figlia minore del console francese Armand Petit, lui si, invece, con un corposo curriculum vitae da cui benissimo si sarebbe potuta trarre la sceneggiatura di un film d’avventura. Armand Petit che aveva dovuto rinunciare al più prestigioso incarico di ambasciatore a Mosca per via del clima non confacente alla salute precaria del suo unico figlio maschio, un diciottenne gracile dallo sguardo malinconico, prostrato da una rara malattia del sangue che lo andava consumando nella diarrea e nel vomito, relegandolo spossato in un fondo di letto, con le mani e i piedi colorati dal blu di un gelo endemico, impenetrabile ad ogni forma di calore.
Philippe Marie Hippolyte, così si chiamava il giovane, un nome lungo per compensare la brevità plebea del cognome, ma che di certo non avrebbe pareggiato quella della sua vita.
Ed ecco che Armand Petit, politico brillante ed eminenza nel campo della diplomazia, s’era dovuto accontentare della mansione minore di console da espletare, grazie al posto vacante e su sua richiesta, a Santo Domingo, nei Caraibi, la città dove non fa mai freddo. Un ripiego per altro inutile, essendo consapevole che non era da ricercare nel clima la causa e il rimedio alla malattia che inesorabilmente andava sempre più debilitando Philippe.
Ma pure s’era piegato per amore alle istanze di Coralie, sua moglie, che incapace di abdicare alla speranza di una guarigione aveva trasformato la casa in una stazione di posta dove trovavano ospitalità professoroni e cialtroni di ogni specie, tra cui un ipnotista, che aveva tentato di far regredire Philippe allo stato di feto al fine di reimpostarlo verso una nuova nascita.
A questo continuo, caotico viavai di estranei su cui Coralie non esercitava alcun controllo, Armand Petit allora aveva chiamato sia la madre che la suocera a vigilare sulla sicurezza delle figlie, Celeste e Fleur. Compito che le due nonne espletavano con enfasi materna e incorruttibile severità.

E nel mentre Ferrer tentava d’imbastire un piano per poter rivedere Fleur, l’incontro avvenne del tutto casuale nella pasticceria Bocados, dove lei e Celeste avevano cercato in una caraffina di limonata ristoro dal caldo assassino che infiammava senza tregua quel pomeriggio.
Ferrer, frastornato e felice, prontamente scegliendo dal vasto repertorio dei suoi sorrisi quello suo più scanzonato, sorseggiando un “santo libre” abbordò le due ragazze chiedendo il permesso di sedersi con loro. Fleur che quel giorno indossava un etereo vestito a fiori sui toni dell’azzurro, e i biondissimi capelli serrati in una treccia, gli apparve ancora più incantevole di come la ricordava nel loro primo incontro, lo accolse entusiasta presentandolo alla sorella e aggiungendo poi: è di lui che ti raccontavo della sera del ballo. Questa piccola frase disvelava a Francisco due cose importanti: la complicità fra le due sorelle ma soprattutto che lei non lo aveva dimenticato. Questa constatazione lo aveva reso leggero e incautamente euforico, e già la sua mente andava febbrilmente elaborando un piano per poterla rivedere, non un appuntamento, no, certo, quello lo aveva scartato a priori, ma un invito esteso anche alla sorella o, se necessitava, a qualche altro adulto della famiglia, e l’occasione poteva essere quella informale di una festa.
E mentre nella sua testa prendeva sempre più consistenza la validità di questo escamotage, Ferrer andava attingendo dal vasto repertorio delle sue arti seduttive facendo attenzione, però, a non palesare un interesse esclusivo  per Fleur, ma equamente distribuendo le sue galanterie ad entrambe.
Un compito davvero difficile e per il quale abbisognava di tutto il suo autocontrollo, che la vicinanza di lei gli incendiava i sensi e gli ottundeva la mente, consapevole che non poteva permettersi errori né cadere in premature tentazioni, che Celeste, pur avendo pochi più anni della sorella, lo andava vagliando con un giudizio d’adulta. Bellissima ed algida, aveva gli stessi capelli pallidi e gli stessi occhi verde chiaro di Fleur, ma le similitudini si fermavano a quello, che Ferrer chiaramente aveva avvertito nella distanza dietro la cortesia la barriera invalicabile di un carattere superiore.
In altri tempi si sarebbe invaghito di lei.
In altri tempi, e se non ci fosse stata Fleur.
Fleur, che aveva riso alle sue facezie, che aveva giocherellato col suo ventaglio nero da dandy (quel ventaglio, ora per lui oggetto magico e da cui mai più si sarebbe separato, che le dita di lei vi avevano impresso l’impronta di una promessa seppur inconsapevole) che aveva preteso, con capricci di bimba, l’assaggio di un “santo libre” che la sorella gli aveva concesso nella quantità minima per un uccellino.
Fleur, che gli aveva poi detto in tono confidenziale: Francisco, voglio fare l’attrice, insegnatemi per favore.
E Ferrer aveva risposto ridendo: siete troppo giovane Fleur, dovete avere la pazienza di crescere, ma nel frattempo se vi contentate dell’insegnamento di qualche passo di danza, sarei felice d’invitare entrambe alla mia prossima festa.
E poi colto da un’illuminazione aveva aggiunto: invito esteso anche alla signora Ermelina Hortega, alla quale ebbi il piacere di autografare una pagina del vostro “program du bal”

E il consenso a partecipare alla festa venne loro concesso da Armand Petit, ma solo dopo un duro scontro con la propria madre, la nonna caffelatte, decisamente contraria a questa possibilità nonostante fosse stata garantita la presenza di Ermelina Hortega, la consuocera della nonna materna, che pure s’era impegnata ad accompagnare le due ragazze al ballo e vegliare su di loro.

– E chi sorveglierà l’evanescente, leziosa,  Ermelina? –
Aveva chiesto sarcastica l’irriducibile ottuagenaria al colmo della disapprovazione, spingendo in un angolo Armand, così come era solita fare quando era bambino e voleva cavargli di bocca la confessione di una marachella.

– Ermelina Hortega, per l’amor di Dio, a lei non affiderei neppure il gatto, figuriamoci le mie nipoti! –
Aveva concluso spossata da quell’accesso di collera, insensibile all’arringa difensiva del figlio che tentava, se non di convincerla, almeno di piegarla all’indulgenza.

– Celeste e Fleur hanno così poche occasioni di svago che non me la sento di privarle di questa opportunità. Confido nell’istinto materno di Ermelina e, soprattutto, nel buon senso di Celeste –
Aveva ribattuto con dolcezza e decisione Armand Petit, baciando la mano dell’anziana madre e  ponendo in questo modo fine alla discussione.

Ma la nonna caffelatte aveva preteso che Fleur, come la volta precedente, non indossasse un abito da sera ma la sua divisa da studentessa, un escamotage per evidenziarla nella sua ancora giovanissima età e renderla manifestamente inaccessibile.
Non immaginando che sarebbe stata proprio quella diversificazione a tracciare il destino di Fleur.
E di tutti loro.