«Duecento e uno, duecento e due, duecento e tre! Aggiudicati al signore in fondo con la camicia azzurra!»
Lo aveva rifatto. Si era fermato di nuovo alla casa d’aste e come sempre ci aveva speso dei soldi. Nell’ultimo anno, insieme al mercatino delle pulci, era l’unica cosa che gli dava soddisfazione. Sperava, rovistando fra quei vecchi cimeli, di ritrovare l’ispirazione che da qualche tempo lo aveva abbandonato. Era uno scrittore di fama mondiale, con alle spalle decine di pubblicazioni di successo, ma erano mesi che non riusciva a buttare giù due righe.
Si era fatto recapitare l’acquisto a casa, troppo pesante da trasportare per lui, visto che già si avvicinava ai sedici lustri.
Appoggiati sul tavolo della cucina i quadri che aveva comprato aspettavano una collocazione. Il lotto prevedeva l’acquisto in coppia e il prezzo, tutto sommato, era stato accettabile.
Un’eccellente riproduzione trompe l’oeil di due dipinti famosi. L’artista che li aveva realizzati però, aveva voluto dare alle opere titoli diversi da quelli originali. Era stato quel particolare a catturare la sua attenzione e a convincerlo ad accaparrarseli. Due ragazzi, un maschio e una femmina, intenti a fuoriuscire dalla cornice. Questo rappresentavano. La parete di fronte alla sua scrivania le era sembrata la più indicata ad accoglierli, sopra una consolle a muro e una poltrona Chippendale. Si era allontanato per vederne l’effetto da una certa distanza e si era compiaciuto con se stesso: facevano la loro figura.
Quella sera come tutte le sere si era concesso due dita di brandy e al diavolo i consigli e le limitazioni del suo medico. «La morte mi deve trovare vivo», il suo motto. Si era seduto davanti alla sua vecchia Olivetti lettera 35, non si era mai convertito al computer. Il foglio bianco pareva accusarlo, aveva distolto lo sguardo e lo aveva puntato sui ritratti e poi di nuovo sul foglio e…niente, non succedeva niente.
Si era alzato di scatto.
«Che rimbambito, cosa mi aspettavo che succedesse, il miracolo? Mah… meglio andare a letto», si era detto. Aveva affrontato la scala che portava ai piani superiori con la consapevolezza che ogni anno che passava sembrava essere sempre più lunga, maledetta vecchiaia! Aveva fatto giusto quattro scalini che un piede gli era andato in fallo facendogli perdere l’equilibrio. Inutile il tentativo di aggrapparsi al corrimano, era caduto malamente battendo la testa sul marmo. Era rimasto immobile per qualche minuto, poi, a fatica, era riuscito a mettersi seduto. Un bozzolo quanto una noce stava gonfiandosi dietro la nuca, aveva la vista annebbiata e si sentiva confuso. Stava cercando di trovare la forza di rimettersi in piedi quando, da basso aveva sentito un rumore: «Tic, tac, tic tac, tic…» Aveva accostato il volto alla ringhiera e per poco non gli era presa una sincope per ciò che stava vedendo: I ragazzi delle tele si erano materializzati accanto alla sua macchina da scrivere. Lei, con una voce dolcissima, dettava qualcosa all’orecchio del ragazzo, parole che lui tramutava in lettere sulla tastiera.
Non era possibile! Si era stropicciato gli occhi e quando li aveva riaperti tutto era tornato alla normalità. «Certo che ho preso una bella romba», si era detto. Ma qualcosa che non riusciva a spiegarsi era accaduto: Nella sua testa una danza di parole cercava un varco, una via di fuga. Volti, personaggi, ambientazioni, prendevano forma nella sua mente. Quella scena, frutto di un’allucinazione da trauma, aveva stimolato la sua immaginazione. Ciò che aveva creduto di vedere poteva essere un buon incipit per una storia. Doveva assolutamente buttare giù qualcosa! Si era alzato con cautela, aveva raggiunto la cucina e si era preparato una tazza di tè nero: sarebbe stata una notte lunga.
Le dita volavano sui tasti neri della sua fedele amica vestendo fogli e fogli d’inchiostro. A metà del primo capitolo aveva regalato un sorriso di riconoscenza ai due fanciulli sulla parete di fronte, “Estro” e “Fantasia” i loro nomi. Non ci avrebbe giurato, ma per un attimo, una frazione di secondo, aveva avuto l’impressione che gli avessero fatto l’occhiolino.
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