Stamattina ero in un negozio del centro, filiale locale di un noto brand di abbigliamento intimo, giusto così, per “farmi gli occhi” con le ultime tendenze di settore; non volevo acquistare nulla, ma – alla fine – è sempre così, qualcosa ci scappa ogni volta…
Quando…
Quando ho assistito ad una breve scena, che mi ha turbato e commosso insieme.
Una donna di mezza età, sui cinquanta circa, ha catturato la mia attenzione.
Vestiva in modo dimesso, ma curato, pulito e decoroso. Non un filo di trucco sul viso pallido, in contrasto con l’appariscente abbronzatura già sfoggiata da altre clienti dell’esercizio commerciale.
Non le si vedevano i capelli.
In testa, invece, portava un grande fazzoletto, un foulard dai colori neutri annodato a mo’ di turbante.
“Un po’ eccentrica – ho pensato tra me lì per lì – con questo caldo!”
Stava osservando dei pigiami con calzoncini corti, anzi di lunghezza al ginocchio, tipo leggins. Finché non l’ho sentita parlare e chiedere alla commessa:
“Mi scusi, ma questi calzoncini li avete anche nel colore nero?”
Al che l’addetta alla vendita rispose:
“No, mi spiace, questi calzoncini sono coordinati alla maglietta, è un pigiamino estivo, lo abbiamo solo in questa fantasia di colori.
Sa, sono i nuovi modelli estivi…”
Al che, la donna – con voce lenta e volutamente abbassando il volume, replicò:
“No, no… È troppo vistoso. Cerco qualcosa dai colori più sobri, più neutri… Sa, devo essere ricoverata in ospedale per un intervento chirurgico tra qualche giorno e cercavo qualcosa di non appariscente, ma comodo e possibilmente in cotone, con questo caldo!”
E così dicendo, snodò il fazzoletto che le fasciava la testa, lo tolse con gesto misurato, lo sbatté leggermente come per fargli prendere aria e lo riposizionò sul capo, riannodandolo, mentre sul suo viso si facevano notare minuscole gocce di sudore, nonostante l’aria condizionata nel locale.
La vidi.
Era calva.
Un leggero quanto assurdo imbarazzo si impossessò di me e finsi di tastare con le dita la consistenza del tessuto del primo capo d’abbigliamento che mi era più vicino, distogliendo con malcelata noncuranza lo sguardo da quel cranio sfacciatamente e disperatamente nudo.
Uscii dal negozio dall’ingresso secondario, che dava su un vicoletto in penombra e poco frequentato. Il cuore in subbuglio. Avevo bisogno di aria. Aria!
Mi fermai per un istante, inspirai profondamente e furtivamente mi passai la mano tra i capelli, sui seni, lungo i fianchi.
Tutto a posto.
Mi ricomposi in un attimo e proseguii il mio cammino lungo il vicolo, silenziosamente grata alla penombra che lo attraversava per darmi il tempo di riassumere un aspetto più consono a quell’ora antimeridiana d’estate.
Un turbinio di pensieri mi offuscava la mente, accavallandosi e superandosi l’un l’altro senza un ordine precostituito, alla rinfusa, rincorrendo percorsi labirintici che ben riconoscevo.
Mi sono diretta verso casa, a piedi.
Una volta arrivata, mi sono recata nella mia camera, mi sono avvicinata al comò ed ho aperto il terzo cassetto, quello dei miei pigiami.
Ho guardato, ho toccato, ho frugato tra gli indumenti puliti e ben riposti, finché l’ho trovato.
Eccolo, era lì – ora – davanti a me.
Il mio pigiama in cotone, con i calzoncini corti.
Rigorosamente nero.