Un pallido sole al tramonto illuminava i declivi densi di ulivi, giù fino al mare. Uno sparuto gregge di pecore brucava tranquillo l’erba tenera, mentre un ragazzo, evidentemente il loro pastore, era seduto con la schiena appoggiata ad una grossa pietra, intento a lavorare su una specie di zufolo.
Più oltre, una cascatella sorgeva tra le rocce, dando vita ad un piccolo torrente che gorgheggiava scendendo a valle. L’aria risuonava del canto di innumerevoli uccelli, mentre le prime stelle cominciavano a vedersi a est, brillanti nell’aria tersa.
«Non ci posso credere!».
«In che cosa non puoi credere?»
«Che per una volta questa bagnarola ci abbia portato nel luogo giusto» rispose Ingram.
Il comunicatore lesse alcuni dati sui quadranti.
«In effetti pare che questa sia proprio l’Ellade…».
«Allora vedi che avevo ragione? È del tutto inutile far revisionare la crononavicella ogni tre viaggi, è la solita truffa delle case costruttrici!».
«Ehm… se lo dicono una ragione ci sarà. E poi, cosa ne sai di quando hanno revisionato questa? L’hai affittata al mercato delle pulci e il certificato di collaudo era scritto a mano…».
«…Solo perché l’originale è stato mangiato dallo sgrubzz di compagnia, hai sentito il venditore? Cosa volevi che facesse? Una nuova immatricolazione?».
«Per esempio».
«Allora tanto valeva affittarne una dall’agenzia di crononoleggio».
«Ecco un’altra buona idea» disse il robot.
«E me li davi tu i soldi? A proposito…».
«Ehm» lo interruppe il comunicatore «hai sentito che aria profumata?».
Ingram era in fondo una brava persona (molto in fondo, asserivano alcuni) e non se la sentiva mai di infierire sul suo piccolo amico, anche perché scartati i creditori e quelli che ce l’avevano con lui per qualche motivo, probabilmente era l’unico amico che aveva, quindi lasciò perdere e fissò la sua attenzione sull’olfatto.
«Davvero!» convenne «sembra impossibile che nella Grecia del ventesimo secolo si respirasse un’aria così pura».
Il comunicatore non rispose, continuava a guardare il quadrante cronotemporale.
Alla fine Ingram si accorse del suo prolungato silenzio.
«Qualcosa che non va?» chiese.
«Ehm, no, la località è effettivamente quella che avevi scelto…».
«Ma?»
«Credo che ci sia stato un lieve disallineamento dei cristalli temporali…».
«Quanto lieve?» chiese Ingram, che cominciava a preoccuparsi.
«Bé, dipende dai punti di vista: su una scala galattica…».
«QUANTO LIEVE?»
«Burp… qualche anno…».
«Mi sembrava strano che per una volta me ne andasse una bene! Vengo in questo periodo nella speranza di riuscire a realizzare una operazione commerciale e…»
«Diciamo il furto di un reperto storico…».
«È inutile che ti metti a puntualizzare, non commettevo nessuna azione illecita a livello temporale: mi sarei limitato soltanto a recuperare i tesoro della B*** affondata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale e mai ritrovata».
«La pratica corretta sarebbe lasciare una segnalazione agli uomini del tempo con indicata l’ubicazione della nave…» fece osservare il comunicatore.
«No. Il tesoro non è stato mai ritrovato, e lo sai perché? Perché qualcuno l’ha recuperato e fatto sparire! Ora, visto che sono venuto in possesso di questa mappa, è evidente che sono stato io a fare il ritrovamento, e il fatto che nessuno ne parli significa che me lo sono tenuto. Tutto quadra.».
«Ce lo siamo tenuti…».
«ME lo sono tenuto: tu non hai personalità giuridica» sogghignò Ingram «E comunque non ti preoccupare, ci sarà qualcosa di buono anche per te» concesse.
«Come sei gentile! Sono quasi commosso. Ma come spieghi che se hai recuperato un tesoro sei sempre senza il becco di un credito?».
Ingram restò un attimo interdetto, sorpreso da quella constatazione, poi ebbe un lampo.
«Perché quando ritornerò con il tesoro sarò già nel futuro, ecco perché!» concluse raggiante.
Il robot rinunciò a proseguire la discussione: quando Ingram si incaponiva su qualcosa non c’era verso di farlo ragionare, e continuava ad inventarsi scuse su scuse finché, vinto dall’inesorabile logica robotica, si metteva a bere. Non che questo rappresentasse un grave problema. Il problema era che l’uomo non reggeva l’alcool, e dopo un po’ si metteva a vomitare dappertutto, e poiché una della mansioni del comunicatore era quella di addetto alle pulizie…
«Piuttosto vuoi dirmi quanto siamo lontani dal ventesimo secolo?».
«Come ti dicevo…».
«QUANDO siamo? ».
«In datazione corrente o terrestre?».
«Siamo sulla terra, no? Terrestre!».
«Circa il quinto secolo…».
«Il quinto secolo? Ma sei impazzito?».
«… avanti Cristo» concluse il robot.
«Eh? Cosa vuoi dire?».
«Mi hai chiesto una datazione terrestre. Cristo era l’appellativo di un profeta ebreo che ha dato origine ad una…».
«So chi era Cristo, grazie: sono andato a scuola ed ho studiato storia delle religioni, insieme alle altre materie di corso. Era quello che ha riunito le tribù del deserto e ha dato vita a quello che sarebbe diventato l’Islam, giusto?» disse, tutto orgoglioso.
«Certo, come no» concesse il comunicatore «si vede che hai una solida cultura».
Ingram soppesò un attimo la risposta, indeciso se non celasse una sottile ironia, poi decise di non dare importanza a quello che in fondo non era che un ammasso di plastica e metallo, semovente e volante, va bene, ma pur sempre meccanico.
«Quindi, rispetto a dove dovevamo andare siamo lontani…»
«Tremila anni circa» rispose il robot.
«Bé, considerato che ne veniamo da cinquantamila anni nel futuro, cosa vuoi che siano tremila anni più o meno? Torniamo in avanti nel tempo».
«Il problema, come certamente tu ben sai» rispose il comunicatore, calcando la voce sulle ultime cinque parole, è che il tempo si sviluppa su scala logaritmica, non lineare, e più arretri più diventa… viscoso, più diventa viscoso e più richiede energia, più richiede energia e più ha bisogno di carburante, più…».
«E quale sarebbe il problema?» lo interruppe Ingram esasperato «vorrà dire che quando avremo trovato il tesoro e saremo… cioè, sarò ricco, rinuncerò ad una infinitesima parte della mia ricchezza per questo banale disguido. Ehi, dove vai?».
Il robot si immobilizzò sul bordo del portello.
«Io… uh, andavo a fare due passi fuori, è così idilliaco che…».
«Zach Philip Dick, maledetta macchina! Imposta subito il nuovo cronoviaggio!».
Ahia, quando Ingram cominciava a chiamarlo per nome e cognome significava che si stava davvero arrabbiando.
«Io… ehm… ho pensato che era inutile riempire del tutto i serbatoi quando dovevamo fare un viaggio così breve e…».
«Ma io i soldi te li ho dati!».
«A parte che erano falsi…» provò a giustificarsi il robot.
«Erano perfetti, avrebbero ingannato chiunque!».
«A parte quello dicevo, ho pensato che visto che non era indispensabili spenderli tutti poteva starci un piccolo investimento…»
«Sei andato di nuovo a giocare d’azzardo!» lo accuso Ingram, furente.
«Questa volta conoscevo il calcolatore che faceva le estrazioni, era una mia cara amica, e….».
«Idiota! E tu ti fidi ancora delle femmine!».
«Ti prego, non girare il coltello nella piaga!» piagnucolò il comunicatore.
«Ci girerei il cacciavite, altro che il coltello! E così siamo bloccati qui nel passato!».
«Proprio bloccati no…».
«Cosa vuoi dire?».
«Considerata la diversa viscosità temporale e la nostra locazione, un salto di qualche centinaia di…».
Zach, nonostante l’aria contrita, era stato ben attento ad osservare i movimenti del suo compagno umano, così quando Ingram sollevò la pesante sedia per scagliargliela contro fu lestissimo a sparire fuori dal portello.
«Maledetta macchina!» gli urlò dietro, mentre l’altro si metteva a distanza di sicurezza «ma questa volta non la passerai liscia! Adesso vado in città a comprare il Cesio 137 che ci serve e faremo i conti poi!».

Da dietro la roccia presso cui si era rifugiato, Zach avrebbe dovuto sentirsi rassicurato da quella minaccia, visto che la probabilità di trovare un isotopo radioattivo nella Grecia del quinto secolo avanti Cristo non doveva essere molto alta, ma restava il fatto che sembravano inesorabilmente bloccati nel passato. Non che avesse da temere per la sua autonomia (quell’idiota di Ingram aveva creduto davvero alla balla della lotteria!) perché la sua pila atomica era ben piena, ma l’idea di trascorrere cinquantamilacinquecento anni prima di poter tornare nella sua epoca lo angustiava alquanto: per quanti anni non avrebbe potuto incontrare una macchina intelligente? Quanto agli umani… puah!

Ingram si era diretto verso il pastorello, che fino a quel momento non si era accorto della loro presenza, anche perché il campo di occultamento della crononavicella era rimasto attivo, come prescritto dal punto 2 comma 36 del Codice di non Interferenza Temporale, ma quando uscì dai canonici venticinque metri del campo il ragazzo si vide spuntare dal nulla uno strano essere vestito con una sgargiante tuta rossa e un casco in testa che ne nascondeva il viso. Sconvolto da quell’apparizione, il pastore balzò in piedi e fece per fuggire, ma inciampò in una pietra e finì con il naso nel fango. Si rialzò terrorizzato e si mise in ginocchio, pronunciando oscure parole.
Ingram non sapeva che fare, così dimenticò le minacce che aveva proferito fino ad alcuni istanti prima e si rivolse via radio al Comunicatore.
«Beh, maledetto mucchio di rottami, vuoi spiegarmi cosa succede adesso?».
Il robot non rispose: pareva immobilizzato a guardare il panorama.
«Zach, disgraziato, ho parlato con te!».
«Ah, non avevo sentito! Chissà come mai a volte mi capita di non udire quello che dici, specie quando mi manchi di rispetto. Deve essere il circuito di…».
«Zach!!!».
«Sì… Fammi capire. Forse è la tuta che indossi che lo spaventi. Ti avrà preso per un dio e invoca la tua clemenza».
Ingram sbuffò, ma dovette ammettere che forse il suo compagno aveva ragione. Si sfilò così il casco, aprì le chiusure di sicurezza e si tolse la tuta. Fece per levarsi anche le calzature, poi guardò il suolo, che non era di morbida sintoerba, e decise di tenersele. Per il resto era completamente nudo, salvo l’anello al testicolo destro che non si sarebbe mai tolto, naturalmente.
Il pastorello spalancò gli occhi.
«Avevi proprio ragione mal… Zach. Adesso sembra più interessato che spaventato».
«Ehm… capo. Ho letto nel mio database che nell’Ellade di questo periodo i costumi sessuali erano orientati in maniera differenti da quello che forse ti aspetti».
«Vuoi dire che… Ehi tu, tieni giù le mani!».
Il ragazzo fu lesto a ritirare la mano che si era avvicinata pericolosamente all’anello.
«Non potevi dirmelo prima, disgraziato?» disse Ingram, coprendosi con la tuta le parti intime.
Il robot non rispose, di nuovo interessato al paesaggio.
L’uomo ebbe un moto d’impazienza, tirò fuori da una tasca una specie di penna, la puntò sul ragazzo e fece fuoco. Un raggio luminoso partì dall’arma.
«Proprio un comportamento etico!» disse il Comunicatore.
«Non l’ho mica ammazzato!» protestò Ingram.
«A parte che potresti anche averlo fatto, che motivo avevi per colpirlo?».
«A parte che non l’ho fatto, se non posso andare in giro con la mia tuta né nudo, secondo te come faccio?».
Il ragionamento non faceva una grinza. In effetti anche Zach aveva lo stesso problema, aggravato dal fatto che il suo fisico non gli consentiva in alcun modo di assomigliare ad un umano.
A meno che…
«E adesso cosa combini?» chiese Ingram, vedendo che la macchina si stava trasformando.
«Cerco di adattarmi. Visto che non posso sembrare interamente umano sto tentando di assomigliare ad un umano travestito, uno particolare».
«Ma se sembri un uomo nudo dentro una botte!».
«Infatti. D’ora in poi chiamami Diogene, per favore».
Ingram alzò le spalle, spogliò il ragazzo e ne indossò i vestiti, arricciando il naso.
«Ma come puzzano!».
«Esagerato! Probabilmente se non quest’anno, almeno l’altro li avrà lavati!».

I due si avviarono verso il sole che tramontava, scendendo lungo il sentiero appena tracciato.
Sul prato rimaneva un pastore nudo intorno a cui giravano curiose e forse interessate le sue pecore.