La pioggia scendeva a fiumi, cateratte aperte che si rovesciavano sulla città e sul mare senza soluzione di continuità, dilavavano le colline e precipitavano in mille rii verso valle, formando veri ruscelli sul selciato sconesso dei carugi e costringendo le puttane ad abbandonare le loro comode postazioni sulle seggiole appoggiate ai muri, due gambe alzate a dondolarsi, per rifugiarsi negli androni dei vecchi palazzi.
Guido scendeva per Via della Maddalena, bagnato come un pulcino, e osservava tutto. Gli piaceva camminare sotto l’acqua, sentirla riempire le scarpe mentre sciabattava tagliando per i vicoli più bui, quelli in cui non si infilavano neanche gli impiegati del Comune in cerca delle avventure più a buon prezzo.
Ombre scure lo guardavano avanzare, tra le antiche edicole votive abbandonate, i palazzi che una volta avevano conosciuto antichi splendori e adesso erano patrimonio delle immobiliari, che li avevano comprati a due lire per lasciarli andare in rovina e, una volta dichiarati inagibili, buttare fuori i neri clandestini e ristrutturarli a gruppi per farne nuovi resort sul modello di quello del Porto Antico.
Progetti decennali, ma loro non avevano fretta.
Con fare sornione sbirciava gli spacciatori che si tenevano nascosti e i borsaioli stupiti nel vedere qualcuno che passava di lì quando la sera era ormai incipiente, ma lui sapeva che quelli avevano il fiuto degli animali e sentivano a distanza l’odore della Beretta che portava nella fondina sotto l’ascella, nascosta dal leggero impermeabile.
Alzando gli occhi al cielo, oltre il lampione che illuminava fiocamente la via, vedeva grosse gocce cadere dallo stretto spazio che separava i tetti, e gli venne da pensare a come fosse quando gli alleati bombardavano la città e i genovesi dovevano correre fuori dal centro storico per raggiungere i rifugi. Lui non era ancora nato, naturalmente, ma non era difficile immaginarselo, anche se la popolazione allora era del tutto diversa.
Attraversata Via del Campo sbucò su Via Gramsci, l’angiporto vero e proprio, per risalire la strada passando davanti al Porto Antico, l’Acquario, Caricamento, e vedere il mare ruggire sulla via di casa, anche se lontano, oltre la diga foranea che difendeva il porto.
Gli sarebbe piaciuto abitare davvero sul mare, a Boccadasse per esempio, ma quelli erano posti per ricchi o per chi ci era nato, lui doveva accontentarsi.
La città sembrava un paesaggio di fantasmi: botteghe ormai chiuse, il traffico che si era già diradato. Per un attimo rimase indeciso se rientrare o andare al Molo a mangiare qualcosa in una trattoria, ma poi si disse che era troppo bagnato per entrare in un locale pubblico, e poi se era bello camminare sotto la pioggia non lo era altrettanto restare in quello stato al chiuso. Come minimo dopo qualche minuto avrebbe puzzato come un cane bagnato e messo in difficoltà gli esercenti, che conosceva.
Diede un’occhiata alla testa del boia sulla pietra d’angolo in cima all’omonimo palazzo e superò uno dei pilastri della Sopraelevata per raggiungere il marciapiede, quando da dietro la struttura metallica spuntarono tre uomini.
Ciondolavano, uno teneva una bottiglia in mano. Latinos, ubriachi, chiaramente. Guardandoli meglio vide che erano ragazzotti, forse vent’anni, forse meno, difficile dirlo. Istintivamente la sua attenzione si risvegliò, vedendo che convergevano su di lui e si fermavano sbarrandogli la strada.
Conosceva quel tipo di gente.
Continuò a camminare con noncuranza, finta stavolta, finchè non fu ad un passo da loro, poi, sfruttando l’attimo di sbalordimento, mollò un violentissimo ceffone a quello alla sua sinistra e spinse brutalmente quello al centro, facendolo cadere a terra. Guardò in faccia il terzo, quello con la bottiglia in mano, per vedere se avesse qualcosa da dire, ma quello ebbe il buonsenso di fare un passo indietro.
Si voltò allora verso gli altri due, ma il ragazzo colpito dallo schiaffo si teneva con due mani il naso sanguinante, mentre l’altro non si era alzato da terra, troppo stupito per reagire e troppo ubriaco per rendersi conto di che guaio erano andati a cercarsi.
Verificato che ne avessero avuto abbastanza, Guido li superò e riprese la sua strada, la mano destra all’interno dell’impermeabile. All’inizio della circonvallazione a mare c’era una pattuglia di polizia, mezza nascosta dietro un furgone.
I poliziotti dentro dormicchiavano, cullati dalle gocce d’acqua che cadevano sul tetto. Guido bussò sul vetro dalla parte del guidatore.
Il poliziotto, disturbato, si voltò bruscamente verso di lui, poi lo riconobbe e tirò giù il finestrino.
«Buongiorno ispettore Cassani», disse l’agente, cercando di rassettarsi senza darlo troppo a vedere.
«Buongiorno Verdini» rispose lui, «Guardi che là dietro ci sono tre uomini che forse hanno bisogno del vostro intervento!»
«Andiamo subito, signore! Eravamo appostati per controllare tutta la piazza e…»
Guido rise, battendogli su una spalla.
«Tranquillo Verdini, anche se avesse avuto una puttana in braccio che le stava facendo un pompino non me ne sarebbe fregato niente. Ho fatto la volante anch’io».
Il poliziotto non rispose, ma arrossì, fece un gesto che voleva essere un saluto e partì verso il punto che gli era stato indicato, senza neanche curarsi di chiudere il finestrino. Il suo socio era rimasto prudentemente zitto, ma sicuramente si sarebbe fatto un mucchio di risate alle spalle del suo superiore, appena tornato in caserma.
La circonvallazione, specialmente dal lato del mare, era completamente scoperta al vento e alla pioggia. Le onde, spinte dallo scirocco, superavano la diga in una schiuma biancastra che contrastava con il colore cupo del mare.
Guido si voltò alla sua sinistra, verso le alture del Righi che erano avvolte dalle nuvole basse, e per la prima volta da quando era uscito dal commissariato rabbrividì.
Genova sotto la pioggia era bellissima e triste, sembrava rimpiangere un passato glorioso che aveva lasciato per un presente di merda. Merda, fame, disperazione.
Ma c’era poco da fare, lui non aveva la bacchetta magica per cambiare il mondo, e chi quella bacchetta l’aveva si dava da fare per cambiarlo in peggio.
Alzò le spalle e si affrettò verso casa sua, a Carignano: inutile rovinarsi la giornata, domani sarebbe stata uguale.