«Adesso basta!»
L’atmosfera nella casa era lugubre. Nuvoloni neri si addensavano sui personaggi seduti sui divani vecchio stile del soggiorno di Minnie. Intorno al tavolo rotondo si cominciavano a notare i solchi sul tappeto lasciati dal frenetico camminare in cerchio dell’eterno fidanzato della padrona di casa, mai visto così nervoso a memoria d’uomo… ehm , di topo.
Tutto il parentado si era riunito nella villetta, ufficialmente per sostenere lo sfortunato protagonista, ma in realtà per esprimere una vibrata protesta nei confronti dei responsabili dell’abuso.
«Eh, già, non basta averci tutti imprigionati nei ruoli più stereotipati e averci affibbiato dei nomi idioti, adesso si mettono anche a fare dell’ironia!»
«Sì, e cosa dovrei dire io!» insorse un altro popolare eroe, «mi hanno disegnato con un carattere collerico e atteggiamenti sempre stupidi, e in più mi ritrovo con il nome di un presidente!»
«Per dire la verità sei nato prima te di Trump, mi pare…»
Paperino si voltò furioso verso chi aveva parlato, ma quando vide che si trattava dello zio si zittì.
«Ah, ah… chissà se è nato prima l’uovo o Paperino!» lo canzonò Pippo, lisciandosi le lunghe orecchie.
«Ci manchi solo tu, idota! Stai zitto, almeno!»
Pippo si ritirò in buon ordine, ma Topolino, che aveva sentito, smise il suo moto rota-pensatorio e si avventò sul papero:
«Ma come ti permetti, disgraziato! Non sei te che vogliono chiamare con il nome di una scimmia! Dopo tutto quello che gli abbiamo fatto guadagnare… E’ una vergogna!»
«Chi ha parlato di guadagno?» chiese zio Paperone, a cui di essere definito un vecchio avaro non importava per niente, ma che essendo un po’ sordo si risvegliava solo quando si parlava di denaro.
«Tranquillo, zio» lo rassicurò un nipotino, smettendo per un attimo di giocare allo strip poker con cui era impegnato insieme ai fratelli e alle nipotine di Minnie, «è solo un modo di dire: Mickey si riferiva ai soldi che guadagnerà Ilaria con questa sporca operazione…»
«Voi fatevi gli affari vostri e tornate a giocare!» lo stoppò subito lo zio, «e ricordatevi, ci si ferma ai vestiti: non voglio che qualcuno ritorni a casa spiumato, questa sera!»
«Ma capisci!» ritornò a protestare Topolino, «già Topo Michele era una cosa ridicola, ma adesso Monkey Mouse…! Dove andremo a finire?»
«Andremo a finire sulle bancarelle dei giornalini usati, ecco dove andremo! Non avete visto che la qualità delle storie non fa altro che calare! Già ci avevano disegnato al risparmio…»
«Come sarebbe a dire? Ancora la storia delle quattro dita?»
«E i guanti gialli?»
«Come sarebbe le quattro dita?» chiese Pluto, che in quanto cane non avrebbe dovuto parlare ma visto che lì parlavano topi, paperi, altri cani e se ci fosse stato Gambadilegno pure i gatti, si era preso una licenza.
«E’ dalle prima tavole che ci hanno disegnato con quattro dita invece di cinque: dicevano che altrimenti le mani sarebbero sembrate… caschi di banane!»
«Che fai, alludi?»
«No, no, tranquillo Monk… cioè, Mickey, era solo una battuta per sdrammattizzare! Per un nomignolo non casca mica il mondo…»
«Non cascherà per te che non hai mai lavorato né pagato un affitto in vita tua!» sbottò Topolino, «ma per me che sono una persona seria…!»
«Già», rincarò Pippo, non rendendosi conto che così non faceva che girare il coltello nella piaga, «come farà il commissario Basettoni a convocare per un’inchiesta… Monkey Mouse?»
Topolino si girò furente verso l’amico, ma vista la sua espressione vacua lasciò cadere le braccia.
«Va bene, va bene, visto che qui non riesco ad avere la vostra solidarietà e non faccio che ricevere sbeffeggiamenti, me ne vado!»
«Dove vai, caro?» chiese Minnie, preoccupata, superando l’abituale freddezza.
«A dirgliene quattro, a quella là, e magari anche a dargliele, brutta…»
E qui intervenne la censura trattandosi pur sempre di personaggi Disney.
Come Topolino fu uscito sbattendo la porta, gli altri personaggi si guardarono, indecisi.
«E ora che facciamo?»
«Io di andare da lei proprio non ne ho voglia», disse Paperino, “e se poi quella mi chiama Donald Trump Duck?»
«Non ti starebbe neanche male, mi piacebbe avere un nipote miliardario e presidente» osservò Zio Paperone.
«Mi dispiace per te, zione. Piutttosto, non avresti qualche dollaro da prestarmi? Domani è il compleanno di Paperina e credo di essere al ve… ehi, ma dove sei finito?»
Paperino aveva pronunciato la parola proibita ‘prestare’ e il suo facoltoso parente si era eclissato in un attimo.
«Va beh!» fece Minnie, sconsolata, alzandosi e apprestandosi a riportare in cucina il servizio buono da the, «mi sembra che la rinuione di famiglia sia terminata. Ragazzi, smettela di giocare e rivestitevi!»
«Speriamo che Mickey non si metta nei guai!» latrò Pippo, preoccupato.
«Figurati!» lo rincuorò Paperino, «vedrai che non succederà niente, è tutta scena. Per me lui e Ilaria sono pappa e ciccia!»
«Come sarebbe a dire?» insorse Minnie allarmata.
Ma ormai Paperino e i suoi nipoti avevano preso la porta, lasciandola con il soggiorno da rimettere in ordine e tanti dubbi nella testolina. Di topina, lei almeno non era stata messa in discussione.
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