L’avvocato si è raccomandato di non parlare. I poliziotti a turno entrano nella stanza bianca e crepata, e cercano di imbeccargli la risposta esatta, ma Lupo non smette di infilare lo sguardo nell’unica microscopica finestra: un pertugio troppo in alto, che gli svela un tassello azzurro di cielo, “mi avvalgo della facoltà di non rispondere”.
Intanto pensa a Kevin, che sarebbe il giorno perfetto per correre dietro a un pallone. Peccato che Kevin quando corre lo fa senza un’apparente ragione, perché qualcosa, chissà dove lo spinge a farlo, desta il suo interesse. Quanto vorrebbe Lupo, almeno una volta, riuscire a capire cosa.
Sono in gamba questi due, il poliziotto buono e il poliziotto cattivo, puntano dritti a toccare i suoi nervi scoperti. Ora è il turno del buono, che gli offre addirittura una sigaretta, proprio come nei film: «… hai fatto degli errori è vero, ma hai un codice, e noi questo lo apprezziamo. Tu confessa, il giudice ne terrà conto. C’è addirittura chi dice che l’hai salvata, che sei una specie di eroe. E poi c’è tuo figlio, mi hanno detto che non sta proprio… insomma, non vuoi vederlo crescere?».
«Non fumo. E mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
Lupo si allontanava dal branco solo per occuparsi di Kevin, lo faceva anche prima di sapere del ritardo, perché mai si dicesse che suo padre non lo mettesse al di sopra di tutto.
Lupo per quel bambino farebbe qualsiasi cosa, perché la sua storia non deve ripetersi, ed ora lì dentro è preoccupato: non è ancora sicuro che la madre sia proprio a posto. Certo non è più come un po’ di tempo fa, che lei, anche volendo, non ci sarebbe proprio riuscita a stare dietro al piccolo.
Quando Viola ha saputo che forse erano stati proprio gli eccessi di prima della gravidanza a fare male a suo figlio, è come impazzita.
E forse non ha aiutato il fatto che Lupo non l’abbia mai amata. Almeno non nel modo in cui un uomo ama la sua donna. Ma le ha sempre voluto bene a Viola Mezzafaccia, ed è merito suo se dopo il crollo lei alla fine ha smesso di farsi con quella robaccia che l’aiutava a non pensare troppo.
«Devi riuscirci, per te stessa, ma soprattutto per Kevin. Che sennò arrivano i servizi sociali, e addio. Tu pensa a rimetterti, pensa a diventà la madre giusta per lui, intanto ce penso io a tutto».
È così che Viola ha iniziato a darsi una ripulita. Grazie a Lupo e al suo giro ha trovato lavoro, fa le pulizie nello stesso centro commerciale dove insieme vanno a fare la spesa per il bambino.
Lupo al supermercato punta dritto alla roba bio, mentre Viola cerca di tenere buono Kevin che acchiappa tutto quello che gli capita a tiro, meglio se rosso, e lo infila nel carrello.
«Quella costa, Lupo…».
«Mio figlio deve magnà roba sana. Deve cresce come mi nonna m’ha fatto cresce a me».
E in effetti Lupo è davvero uno spettacolo, non lo può negare Viola, che pur di averlo una sola volta, pur di sentirsi sua e solo sua, ha lasciato che si facesse spazio in lei, senza porsi il problema di una qualche precauzione. Lei che lo ama dai banchi di scuola, da quando lui a sorpresa l’ha difesa quella prima volta che l’hanno chiamata così, Mezzafaccia, per via della voglia rossa che le copre tutto il lato destro del volto.
«Io sono con te, me piaci e te voglio aiutá, ma tu non piagne quanno te chiamano così. Ce sta de peggio, pensa a Scardabagno…».
Scardabagno è ancora oggi la migliore amica di Viola, e ormai per una sorta di autoironica autodifesa, anche tra loro si chiamano così.
In quanto a Lupo, Mezzafaccia si è accontentata di una notte brava, che però le ha lasciato troppo di più.
Ma poi è stato lui a lasciare tutti a bocca aperta – specie Scardabagno che già lo guardava torva – quando non si è tirato indietro, anzi: in quella notte d’estate, tra l’odore bruciato dell’asfalto di periferia, si è accorto di Viola, che s’era allontanata per vomitare e di punto in bianco, mentre tutti bevevano e fumavano, non stava toccando neanche una sigaretta. È stato lui a fare due più due, e così l’ha tirata dentro il locale semivuoto prendendole la mano, ma con delicatezza, e l’ha portata al tavolo più appartato.
Quasi tremava, Lupo, «Me devi dì quarcosa?».
«Lupo, io non vojo niente, nun so se lo terrò…».
E lui aveva fatto davanti a lei qualcosa che nessuno gli aveva mai visto fare: i suoi occhi si erano inteneriti, e così erano ancora più belli, lucidi come madre perla sotto la luna.
«Tienilo Viola. Sarai una brava madre, ed io un padre fiero».
Viola non l’ha mai capito il senso di quest’unione, ma lo ha accontentato: lei lo ama, e un po’ ci sperava che suo figlio avrebbe tratto benefici da quello spettacolare corredo genetico.
E in effetti Kevin a guardarlo sembra un angelo e Viola già pregustava per lui una carriera da modello o addirittura da attore.
«Nulla è perduto» ha detto Lupo quando hanno capito del ritardo, «hai sentito il dottore, no? Ci sono scuole in cui può essere aiutato».
«Ma tu ce l’hai la minima idea di quanto costa quella scuola?».
Andava sempre Lupo a prenderlo nella scuola del quartiere alto, quella dove ci sono solo i figli dei ricchi, quella che a Mezzafaccia era sempre sembrata una follia. Ma forse si trattava più della paura di finire aggrappata ad una vana speranza: magari avrebbe potuto davvero funzionare per Kevin…
Le altre madri della scuola guardavano Lupo e gli sorridevano, e lui le ricambiava con il suo sguardo da predatore in cattività, ma non si fermava mai a parlare più di tanto, perché non sapeva usare mica le parole come loro, che parlano senza accento e poi usano tutte quelle frasi ricercate.
«Ciao Silvano» perché qui e solo qui Lupo usava il suo vero nome «lo porti Kevin alla festa di carnevale? Quest’anno ci riuniremo al circolo sportivo Live, quello che si trova proprio vicino alla scuola».
Quello che per iscriversi serve un mutuo, ma gli istruttori li pagano una miseria… e chi se lo dimentica.
«Devo vedé, ne parlo con la madre».
«Oh ma la vedremo mai la mamma di questo bambino meraviglioso?» aveva detto proprio così la rossa, «lavora fino a tardi la signora?».
«Sì… ».
«Oh».
Oh… quante volte Lupo ha sentito quegli “Oh” che sanno di sufficienza.
Ma allo stesso tempo l’ha sempre saputo che gli sarebbe bastato uno sguardo, se solo avesse voluto, che per questo aspetto le esponenti del gentil sesso, ha scoperto da un po’, si somigliano, almeno stando alla sua esperienza. Al di là della cultura, del ceto sociale, dell’età, magari per una sola notte, avrebbe potuto avere anche molte di quelle che non conoscono cosa sia la miseria.
«Si, ce lo porto alla festa».
«Bene…» rispose quasi con un sospiro la rossa figura di madre ben poco naturale che aveva davanti.
«Bene…» aggiunse Lupo, che quel giorno gli andava di giocare un po’.
Ma al di là della rossa, portare Kevin alla festa era giusto, e Lupo è sempre pronto a fare quello che è giusto per Kevin. Non come ha fatto suo padre con lui, che gli ha insegnato solo a rubare e tirare di boxe.
Questo diceva di fare Lupo quando parlava con gli altri genitori del quartiere alto: insegnare a tirare di boxe. Ma se fosse solo quello, non avrebbe potuto mica permettersela quella scuola per Kevin.
Alla festa di carnevale c’era anche una madre che non aveva mai incontrato: se ne stava defilata, nascosta sotto una chioma troppo scura.
Quello è il viso di una bionda, pensò Lupo, mentre la osservava accennare sorrisi a sua figlia che correva felice al fianco di Kevin: erano così belli, entrambi nei loro vestiti da supereroi. Kevin in quel momento sembrava il più felice e normale dei bambini, tanto che gli occhi di Lupo un po’ si fecero lucidi e tornò con la mente a quando sognava anche lui di essere Batman, per scoprire poi che la vita gli aveva già riservato un destino da Jocker.
Approfittò di quel gioco a due per uno sguardo complice alla donna, che lo ricambiò solo in parte, tanto era timida e sfuggente, ma che fosse un osso duro Lupo lo aveva intuito dal primo istante.
La rossa intanto aveva iniziato a farsi strada, e lo aveva trascinato all’impeccabile area buffet organizzata da lei medesima, dove con fare sicuro stappò per lui una birra, «Questa fa al caso tuo, scommetto».
Cosa avrà voluto dire? Che si vedeva che lì si sentiva un pesce fuor d’acqua e un po’ di alcool magari lo avrebbe aiutato? Che lui non è un tipo da ostriche e champagne? O che da una vita così, da problemi come i suoi, sarebbe meglio evadere?
Lupo guardò Kevin con lo stesso orgoglio di sempre, «No grazie, non bevo mai prima di un allenamento».
«Oh…».
L’Oh di quella volta fu diverso, e Lupo l’avrebbe anche accontentata in un’altra occasione, ma c’era quell’altra, di cui non sapeva il nome, che proprio lo intrigava.
Ora continua a guardare il rettangolo azzurro, che per un istante viene attraversato da un filo d’ovatta bianco, e pensa a come, incredibilmente, il nome di quella donna costituisca ancora un piccolo mistero per lui.
Negli ultimi tempi, quando gli capitava di effettuare un colpo nel quartiere alto, Lupo pensava spesso che avrebbe potuto essere la casa di un compagno di suo figlio quella da ripulire, e la cosa un po’ lo turbava, tanto che le ultime volte alla banda aveva detto di no. Ma i soldi iniziavano a scarseggiare, e quella scuola costava e già era in ritardo con il pagamento. E sarebbe stato sempre peggio.
Il poliziotto cattivo batte un pugno sul tavolo. Non ci sta a vedere evadere la sua preda, anche se è solo con il pensiero: e invece è proprio il colpo a consegnare Lupo, dritto dritto, al ring di qualche mese prima, e per l’esattezza al giorno in cui non riusciva a concentrarsi e allora il gancio del suo allievo era arrivato nello stomaco così forte che nonostante il guantone gli parve di sentire la nocca incidere il muscolo.
Era ancora piegato su se stesso quando tra le corde la vide entrare.
Non sono mai passate molte donne in quella sala, e le poche che ci vanno di solito sono molto meno vestite e decisamente più truccate, mentre lei indossava una tuta nera, larga, tinta unita, che sembrava il migliore abbinamento per i suoi capelli corvini, raccolti per l’occasione in una coda di cavallo che lasciava intuire la forma perfetta della nuca e scopriva il collo bianco latte. Avrebbe potuto essere un fumetto in bianco e nero se non fosse stato per gli occhi color smeraldo – pensò Lupo – con il desiderio di affondare le labbra in quel punto esatto: quello che unisce nuca e collo. Immaginò se stesso risucchiarla, con le narici dilatate, per coglierne tutte le note odorose.
«Ciao. Sei la mamma di…».
«Sì, di Camilla, ciao Silvano».
«Cosa ci fai nella Tana delle Tigri?» continuò lui togliendosi con finta indifferenza la maglietta sudata e asciugando il torso perfetto con il telo della Nike.
Per la prima volta la vide ridere, «Hai proprio ragione, sembra di essere sul set dell’Uomo Tigre. Avevo solo bisogno di cambiare aria».
«Non vai a quel centro sportivo, come si chiama… il Live? Come le altre?».
«Le altre mamme suppogo. Ci passo fin troppo tempo lì, mio marito è uno dei soci, ed il salone di bellezza che c’è dentro…».
«È il tuo!».
«Già…».
«Una pausa, allora?».
«Diciamo che avevo bisogno di fare questa cosa, ecco, con un po’ di privacy».
«Posso aiutarti?».
«No grazie, tra poco inizia il mio corso».
«Magari dopo potremmo prenderci un caffè».
«Magari».
Quel caffè invece non lo hanno mai preso, e ormai Lupo ci ha messo da tempo una pietra sopra, anche perché nell’ultimo periodo c’era sempre stato altro a cui pensare, come Mezzafaccia, puntuale come una svizzera, non mancava di fargli notare.
«Possiamo sempre iscriverlo ad una scuola statale».
«Tu non sei mai stata d’accordo».
«Lupo, io capisco le tue buone intenzioni… ma che senso c’ha? Ben che vada Kevin non potrà comunque permettersi le cose dei suoi amici. Lo inviteranno a feste che non potrà organizzà a sua volta. Desidererà vestiti che non potrà indossà. E tutto questo dove lo porterà».
«Io quella scuola l’ho scelta perché dicono che è la meglio per i bambini speciali come lui, e lì se uno c’ha un talento scommetto che lo sanno scoprire. Non come me, che al massimo ho imparato a tirà pugni…».
«Se non avessi avuto l’incidente…».
«Sarei comunque affamato. Un bravo pugile affamato…».
«Possiamo cambiare scuola. Pensaci. Kevin è un bimbo con il cuore grande. Lo aiuteremo a capire».
«Sei stata brava, nonostante tutto, con lui».
«Anche tu. Nonostante tutto».
Mezzafaccia non ha mandato a scuola Kevin, non gli ha detto nulla di quel che è successo a Lupo. Non saprebbe da dove iniziare e non vuole turbarlo… non dimenticherà mai lo spavento del giorno del funerale di suo padre, il nonno di Kevin: non avevano trovato il piccolo per tre ore infinite. Alla fine Lupo lo aveva scorto quasi per caso, era in posizione fetale, con le mani sulle orecchie, nel sedile posteriore della macchina del nonno. Oggi Viola l’ha lasciato con sua madre perché ha una questione da sistemare, ma in quella classe proprio no, non ce lo porta.
Entra a passo deciso nel salone di bellezza e si avvia verso il bancone bianco e luminoso, dove una donna bellissima dai capelli neri sta facendo i conti.
Non è mai entrata in un posto così, e sa bene che le clienti non perderanno occasione per scrutarla da sotto i caschi o approfittando degli specchi. Sa di essere molto diversa, ma è abituata ad esserlo ovunque, dunque tira dritta verso il suo obiettivo, gonfia il petto e «SonolamadrediKevin. Devo parlarti».
La villa sembrava una fortezza. Dicevano che con quel colpo si sarebbe sistemato per un bel po’ di tempo. Magari avrebbe potuto investire un po’ di grana, aprire la sua piccola palestra, perché no? E poi da cosa nasce cosa, non si dice così?
Lupo sentì l’adrenalina scorrere lungo la colonna vertebrale, insieme alla speranza di un futuro acceso di grandi opportunità per Kevin, e per Viola.
Ha fatto proprio un bel lavoro con quel bambino Mezzafaccia, pensò Lupo. Era la sua migliore amica da sempre, ma forse c’era dell’altro. Sì, forse non si trattava solo del fatto che fosse la madre di suo figlio. Per un attimo Lupo pensò che avrebbe potuto quasi chiederle di diventare sul serio una famiglia.
Seduto nel furgone pregustò l’orgoglio che le avrebbe dato poter osservare gli occhi di Viola illuminarsi.
«Giovà, se trovate un anello con brillante, quello è mio. Devo rendere Mezzafaccia una donna onesta», disse ridendo.
«Congratulazioni! Era ora, se aspettavi ancora ce pensavo io!».
Poi si sentì il click della serratura del grande cancello in ferro battuto, e il gruppo si riversò nel giardino nero come una notte di silenzio senza luna. L’allarme era stato manomesso già il giorno prima, grazie a quel finto guasto elettrico, e il cane se ne stava tranquillo con Anselmo, il dogsitter della banda, che grazie a quel lavoretto riusciva ad andare in avanscoperta e proprio così trovava le migliori “opportunità”.
Non ci volle molto che anche la porta di ingresso fu violata: era ora di entrare.
La casa era vuota come previsto, ma gli intrusi si muovevano lo stesso senza fare il minimo rumore, insieme alle luci ed ombre che provenivano al passaggio delle auto sulla strada perimetrale. Senza troppo cercare, proprio nello svuotatasche all’ingresso, Lupo vide un anello con zaffiro, che fortuna, proprio il colore degli occhi di Viola, e lo lasciò scivolare nella tasca.
«Un momento… ruote sul brecciolino, stanno rientrando! Scappiamo!».
«Io non me ne vado senza il malloppo»
«Tu sei matto… scappa!».
«Tu vai, vaiii!!».
Lupo si nascose bene. Sarebbe bastata quella tenda spessa. Il cuore pompava come una grancassa in festa. Pensava che non sarebbe stato difficile. Avrebbe solo dovuto aspettare nascosto che si mettessero a dormire. Tutum tutum! E poi si sarebbe mosso pianissimo, per prendere giusto il necessario per pagare un paio di rate. Intanto aveva l’anello. Ora le sembrava di amarla da sempre, Viola. Tutum tutum.
La coppia entrò. Lupo sentì il passo da tacchi alti di lei, e il suo profumo diffondersi lieve per l’ambiente, che gli sembrò di conoscere già.
L’uomo chiuse la porta, lei lanciò le scarpe per terra, ed ora era scalza.
Un paio di passi sul parquet, coi piedi che aderivano nudi, e poi da dietro la tenda Lupo sentì il suono sordo di uno schiaffo, potente, che rimbombò nella grande sala.
«Sei una puttana!» gridò l’uomo, e presto fu addosso alla donna che piangeva e cercava di divincolarsi, di difendersi, di toglierselo di dosso, «ti prego, lasciami, ti prego. Non ho fatto nulla. Nulla!».
Quel profumo ed ora quella voce: era lei. La finta mora dagli occhi tristi, la mamma di Camilla, che ormai si limitava soltanto a salutare quando veniva a fare il corso.
Un momento: il giovedì a quell’ora, nella Tana delle Tigri c’è… «o no, cazzo, sono un cretino. Difesa personale», sussurrò. Come aveva fatto ad essere tanto sciocco?
«Accomodati», la donna con gentile eleganza accenna ad una comoda postazione in finta pelle rossa davanti ad uno degli specchi che ricoprono tutte le pareti della stanza.
«Non posso permettermelo», risponde con un sorriso imbarazzato Mezzafaccia.
«Offre la casa», le sussurra la mora in un orecchio facendola accomodare. E poi aggiunge: «Dovresti scoprire il viso. Un taglio corto magari, hai degli occhi stupendi».
«E questa?» fa Mezzafaccia scostando i capelli e mostrando tutta l’invadenza della sua voglia.
«L’imperfezione può essere meravigliosa».
Lupo non resistette. Non aveva esitato un istante neanche con suo padre, che ora è in galera ed è sordo a causa sua.
Ieri lo ha incontrato nell’ora d’aria, ed ha accettato quando lo ha abbracciato e gli ha chiesto perdono, perché è stata sua madre a pregarlo di fare così, ma quando quel giorno l’ha visto addosso a lei, Lupo è diventato una furia.
Era ubriaco suo padre, non lo aveva mai fatto prima: una volta era bastata a rovinarsi la vita.
Ma con quel tizio in quella sala era stato più semplice: Lupo non lo conosceva. Era uno stronzo qualsiasi, e allora col sangue che ribolliva nelle tempie era uscito allo scoperto, e in silenzio gli era saltato addosso, con gli occhi di una fiera pronta ad uccidere. E forse lo avrebbe fatto se lei non si fosse alzata e cercando di afferrarlo per un braccio non lo avesse implorato «fermati Silvano, lascia stare, pensa a Kevin!».
«Sei stupenda, guardati, kevin è uguale a te, ora sì che si vede».
Mezzafaccia un po’ è commossa perché per la prima volta il suo viso non le sembra un errore. Tutto appare disposto secondo un ordine preciso e armonico. Ma non è il momento per giocare al brutto anatroccolo.
«Vieni, mi prendo una pausa, così potremo parlare».
Le due donne escono: così sistemata Viola dà molto meno nell’occhio in quell’ambiente.
Prendono la Smart della donna, che finalmente, anche se non ce ne sarebbe bisogno ormai, si presenta: «Mi chiamo Stefania».
«Stefania, tu lo capisci che Lupo forse ti ha salvato la vita, vero?».
Stefania si gira, e con gli occhi verdi pieni di lacrime bacia le labbra di Viola.
L’avvocato entra nella stanza, «Signori, è stato un piacere, ma il mio cliente qui ha finito», poi rivolgendosi a Lupo: «Andiamo Silvano, Viola è fuori che ti aspetta».
Lupo non capisce, ma non si fa certo pregare. Prende le sue cose, e a sorpresa gli riconsegnano addirittura l’anello che teneva nascosto in tasca nel momento dell’arresto.
«Sei stato fortunato che abbia deciso di raccontare tutto», ammicca poco dopo il poliziotto buono, che evidentemente ha capito qualcosa più di lui di su ciò che sta capitando, «complimenti, proprio una bella donna Stefania Rambaldi, come biasimarti?».
All’uscita Viola lo aspetta, ed è diversa, bellissima, Lupo strofina l’anello tra il pollice e l’indice, ma qualcosa lo fa esitare. Dopo poco arriva la mora, alias la signora Rambaldi.
«Fatto», dice a Viola, che le prende la mano.
«Cosa? Fatto cosa?», Lupo ancora non capisce.
«Ho dichiarato che ti trovavi a casa mia perché abbiamo una relazione».
«Ed ha denunciato quello stronzo di suo marito».
«Mi ha aiutata Viola a trovare il coraggio».
Lupo sorride. Mezzafaccia è sempre stata un portento, e lui è stato così stupido da lasciarsela scappare, e adesso lei… Ma va bene così, non l’ha mai vista così felice: prende l’anello dalla tasca e lo lascia scivolare nella mano di Stefania, che richiude in un pugno e poi bacia «questo è tuo, grazie per quello che hai fatto, che avete fatto. Ragazze, ora vi saluto, sono molto stanco: se poteste pensare voi a Kevin stasera ve ne sarei grato», e poi tra sé, «farò un’eccezione, più tardi vado a farmi una birra. Magari, ma sì, magari con una rossa».