La valle si svegliava lentamente come ogni mattina e i raggi del sole filtravano tra le chiome degli alberi, penetravano nell’intrico delle felci del sottobosco e con il loro tepore risvegliavano le creature ancora addormentate. I fiori schiudevano le loro corolle variopinte scrollandosi di dosso le gocce di rugiada e il prato tornava ad essere simile ad un tappeto ricamato adagiato tra le curve delle colline e ombreggiato dalle cime dei monti.
La farfalla era la prima a svegliarsi. Con un lieve battito d’ali si liberava dal torpore notturno e dopo aver tuffato il viso nella prima goccia di rugiada che trovava, era perfettamente sveglia. Subito iniziava a svolazzare sul prato ancora deserto e silenzioso scrutando il cielo. Ed ecco, finalmente, arrivare l’aquila, la grande aquila reale, signore indiscusso delle montagne. Il piccolo cuore della farfalla si arrestava per un attimo mentre l’ombra gigantesca sovrastava il prato per poi risalire verso la cima delle montagne e scomparire dietro di esse. La farfalla restava lì, con l’immagine del regale uccello negli occhi e nel cuore. Lei lo amava, era innamorata dell’aquila reale, lo era stata dal primo giorno che l’aveva vista e da allora, all’alba e al tramonto, scrutava il cielo per vedere, anche solo per un attimo, l’oggetto del suo amore. Gli altri insetti e le amiche farfalle la canzonavano:
– Ma tu sei matta, un’aquila? Ma non sa neanche che esisti!
– Ti schiaccerebbe senza neanche accorgersene
– Non potrai mai incontrarla.
Ma la farfalla non li ascoltava, lei ascoltava soltanto i battiti del suo cuore e il suo cuore le diceva che quell’amore impossibile e irreale per lei era vero e profondo. Non poteva essere diversamente, l’emozione che provava quando vedeva passare il regale uccello, signore della montagna, era inequivocabilmente amore.
– Voi non capite! – apostrofava gli amici che la mettevano in guardia dalla sua insana passione,
– Lui è un essere superiore. Chissà quante cose conosce che noi non sappiamo neanche che esistono. Chissà le meraviglie che ha visto, le imprese che ha compiuto. Non vedete l’eleganza, la forza, la potenza che emana? Io sono certa che un giorno la conoscerò e le parlerò e si accorgerà di me!
I giorni passavano e la farfalla coccolava il suo sogno impossibile mentre scrutava il cielo alla ricerca dell’aquila. Nelle sue peregrinazioni era riuscita a scorgere il suo nido, arroccato in cima ad una rupe inaccessibile. Aveva avuto un tuffo al cuore: nonostante i suoi ardimentosi proponimenti non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare fin lassù, almeno non con le sue sole forze. Nonostante questo ostacolo praticamente insormontabile, la farfalla non smetteva di sperare e trascorreva le ore a sognare e ad immaginare il suo incontro con l’aquila. Cosa avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto? In fondo lei era solo una piccola, misera farfallina, cosa mai avrebbe potuto fare per suscitare l’interesse di una creatura tanto superiore? Ma certo! Eccola l’idea: l’aquila era sì, un essere superiore che conosceva e sapeva tante cose, volava sopra il mondo, lo dominava, ma non conosceva certo le mille piccole e grandi storie del sottobosco, la vita di animali e piante di cui ignorava perfino l’esistenza, ma che erano necessari alla vita complessiva di tutta la terra: lei gli avrebbe raccontato tutto questo, avrebbe fatto in modo che sapesse anche ciò che non sapeva. Questo pensiero le riaccese la speranza e al tramonto, dopo aver visto l’aquila tornare al suo nido, le rivolse un pensiero d’amore e si addormentò nell’incavo di una tenera foglia.
Quella mattina, una bella mattina di primavera, la valle si svegliò scompigliata dal vento. Era un vento birichino che si intrufolava tra i fiori ingarbugliandone gli steli e spettinava le chiome degli alberi agitandole in un turbinio di foglie e fiori dai tenui colori. La farfalla si rese subito conto che era una giornata speciale. C’era qualcosa nell’aria, un certo non so che, che si avvertiva a fior di pelle. Guardò l’aquila spiccare il volo, sfidare la forza del vento e vincerla, la vide allontanarsi dapprima planando sul prato e poi puntando dritta verso la cima di una montagna scomparendo dietro di essa. Il suo cuore ebbe un tuffo. Poi volse lo sguardo verso il nido: era davvero irraggiungibile per una creaturina fragile come lei. Ma quella mattina c’era qualcosa di più: c’era il vento. Era un’occasione da non perdere. La farfalla si fece coraggio, si affacciò dall’anfratto dove si era nascosta per non essere spazzata via e con quanto fiato aveva in gola disse: – Vento, amico vento, ti prego, fammi un favore!
Per un attimo il vento parve fermarsi. La farfalla continuò: – Portami fino al nido dell’aquila, da sola non ce la faccio.
Il vento, stupito, sibilò: – E poi come scenderai? Io devo continuare per la mia strada, non posso tornare indietro.
– Non importa, a me basta il tuo aiuto per arrivare in cima.
Il vento, che era abituato ad andare per la sua strada senza fare domande, non replicò. Spirò un soffio vigoroso alle spalle della farfalla e il piccolo animale si sentì sollevare con una tale forza che per un attimo pensò le si staccassero le ali. Mentre saliva sempre più su sentiva il suo cuore martellare, un po’ per l’emozione e un po’ per la fatica. Gli occhi le bruciavano e non vedeva quasi nulla e l’impalpabile polverina multicolore sulle sue ali era diventata un miscuglio variopinto. Ma alla farfalla non importava niente né della fatica né del suo aspetto fisico, l’unica cosa che contava veramente era che stava per realizzare il suo sogno.
Con un’ultima folata venne deposta proprio dentro al nido. Dopo un attimo di confusione, la farfalla si riebbe e si guardò intorno. Il nido era immenso, molto più grande di come se l’era immaginato. Era vuoto perché l’aquila era via, così lei poté ispezionarlo con tutta calma. L’interno era morbido e caldo, rivestito di piume e lanugine e dava un senso di sicurezza e di calore. L’esterno era un intreccio solido e massiccio di rami, una robusta barriera contro pericoli e intemperie. “ Sono a casa sua” pensò la farfalla e l’emozione le fece battere più forte il piccolo cuore.
Le ore passavano e si avvicinava il tramonto e con il tramonto il ritorno dell’aquila. La farfalla era sempre più agitata. Adesso che si avvicinava il momento fatidico cominciava ad avere un po’ di paura. Cosa avrebbe detto? E l’aquila come avrebbe reagito? Se davvero l’avesse schiacciata come dicevano i suoi amici? Forse aveva davvero fatto il passo più lungo della gamba, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. E in quel momento un poderoso battito d’ali la riscosse dai suoi pensieri: l’aquila era tornata.
La farfalla si nascose tra l’intrico dei rami che componeva l’esterno del nido e attese, con il cuore in gola, che l’aquila si sistemasse. Si concesse qualche minuto per guardarla da vicino senza essere vista. Era davvero un magnifico animale, il più grande e il più bello che avesse mai visto. Gli occhi grandi e penetranti erano scuri e profondi; il becco aguzzo e forte, il profilo davvero regale: un vero capo, un condottiero. La farfalla chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e, con un po’ di tremarella, si fece avanti.
– Buonasera – disse tentando di mantenere la voce ferma. L’aquila si guardò intorno con aria sospettosa, poi la vide.
– Buonasera a te – disse con la sua voce profonda, – Chi sei e che ci fai quassù? Non ti ho mai vista prima d’ora.
– Sono una farfalla, è naturale che tu non mi conosca. Io vivo laggiù nella valle dove tu non arrivi mai. Ho chiesto al vento di condurmi quassù.
– Perché?
– Perché volevo conoscerti – disse la farfalla tutto d’un fiato. L’aquila fece un piccolo sorriso e la guardò. La trovava graziosa con quei colori vivaci e terribilmente fragile, non aveva mai visto una creatura simile. Non doveva essere stato facile per lei arrivare fin lassù e se l’aveva fatto il motivo doveva essere molto serio. – Raccontami di te – le disse. Alla farfalla non parve vero, le sembrava di sognare ancora, come aveva fatto per tanti giorni e tante notti laggiù nel prato. Guardò l’aquila dritto negli occhi, cercando di sostenere quello sguardo penetrante e fiero, e cominciò a raccontare di lei, dei suoi amici insetti, di tutto quel microcosmo che popolava il sottobosco.
Parlò per ore mentre nel cielo la luna saliva sempre più in alto. L’aquila ascoltava con interesse e tenerezza quella piccola creatura così ardimentosa e coraggiosa che aveva intrapreso quel viaggio impossibile solo per parlare con lei. Non poteva fare a meno di sentire nel suo cuore un misto di ammirazione e voglia di protezione per quella creaturina che, con semplicità, le parlava di cose ignote e interessanti.
Dopo ore l’aquila disse: – Ma ora come farai a tornare giù?
– Io non voglio tornare giù, voglio rimanere qui con te.
L’aquila la guardò con aria interrogativa. – Ti prego – e la farfalla la guardò con tutto il suo amore negli occhi. – Va bene, se vuoi puoi rimanere. Vieni, mettiti qui vicino a me – e la farfalla si sistemò sotto l’ala destra dell’aquila. Non poteva credere che ciò che stava accadendo non fosse solo uno dei suoi sogni e alla fine si addormentò, felice come non era mai stata, in quel tepore rassicurante.
Iniziò così una curiosa convivenza. L’aquila e la farfalla, così diverse tra loro, dividevano il nido e si raccontavano le loro vite, le piccole e grandi cose che avevano visto e imparato nei loro mondi tanto distanti. La farfalla si convinceva ogni giorno di più che l’idea che si era fatta nei suoi sogni fosse vera: l’aquila aveva davvero una straordinaria conoscenza del mondo e i suoi racconti erano affascinanti e ricchi di fatti, personaggi, situazioni che prendevano vita attraverso le sue parole. Raccontava con semplicità, l’aquila, con la sua voce calma e profonda, con il piacere di spiegare e di rispondere alle domande della sua compagna. Non c’era presunzione o vanteria nelle sue parole, ma si sentiva il piacere di condividerle con qualcuno. Il realtà l’aquila era sempre stata molto sola e adesso quella nuova compagnia era una piacevole sorpresa e non solo come ascoltatrice. Per tanto tempo aveva vissuto in solitudine, un maschio senza una compagna con cui condividere la vita, pago soltanto delle sue imprese e del suo ruolo di capo. Ora la farfalla riusciva a catturare la sua attenzione con le storie del sottobosco, con i piccoli eroi che quotidianamente lottavano per la vita e di cui l’aquila non sapeva nulla.
Le loro giornate trascorrevano tranquille. La mattina, al risveglio, si auguravano il buongiorno; poi l’aquila partiva per le sue peregrinazioni e la farfalla iniziava a svolazzare nei dintorni. Per lei era una scoperta nuova ogni giorno: non era mai stata in alta montagna e i paesaggi, i fiori, gli animali, gli odori erano per lei completamente nuovi, nuovi i colori, le sensazioni. Era davvero felice, aveva realizzato il sogno più grande della sua vita. Certo, ogni tanto sentiva un po’ di nostalgia per i vecchi amici del prato, ma la felicità di poter dividere la sua vita con la creatura incredibile e stupenda che aveva sognato e raggiunto con la forza della sua volontà e del suo amore la ripagava di tutto. L’aquila, dal canto suo, era grata alla piccola farfalla per la compagnia, l’allegria e l’affetto sincero con cui riempiva la sua vita. Ammirava molto quella creaturina fragile che aveva messo a repentaglio la sua vita pur di conoscerla e cercava di ricambiare tanta dedizione come meglio poteva. Aveva preso l’abitudine di tornare dalle sue scorribande con un fiore raccolto nel prato. – Ecco – diceva porgendoglielo col becco – così non sentirai troppo la nostalgia di casa.
E la farfalla si inteneriva ogni volta a quel pensiero gentile. Sì, perché l’aquila non era solo forte e sapiente, sapeva essere anche profondamente sensibile e delicata.
Il tempo trascorreva velocemente. La primavera aveva lasciato il posto all’estate, un’estate calda e afosa, ma lassù, sulla cima inaccessibile dove abitavano l’aquila e la farfalla, si stava bene e non faceva mai troppo caldo. Quando si è felici il tempo vola e così anche l’estate volgeva al termine. Le giornate si accorciarono, l’aria cominciò a rinfrescare. La farfalla sapeva bene cosa significava, ma cercava di non pensarci, concentrandosi sulla sua felicità: sarebbe stato comunque abbastanza, molto più di quanto avrebbe mai pensato di poter fare nella sua vita.
Una mattina, una grigia mattina con il cielo plumbeo ed un’eco di tuono in lontananza, la farfalla si svegliò con uno strano senso di torpore. Le ali erano come addormentate e il suo corpo fu scosso da un brivido. Lei non si mosse dal suo angolino tiepido, sotto l’ala dell’aquila. Con una fitta di paura prese coscienza della realtà, ma cercò di ricacciare giù in fondo le sensazioni spiacevoli: avrebbe fatto in modo di rendere le cose il meno doloroso possibile, era talmente felice!
L’aquila si svegliò. – Buongiorno – le disse con quel tono dolce che usava di solito con lei. La osservò per un attimo, poi, con voce allarmata le chiese: – Cos’hai? Non stai bene? Tu stai tremando.
– Non è niente, non preoccuparti – cercò di rassicurarla la farfalla.
– Non mentire, ti prego. Dimmi piuttosto cosa posso fare per te.
La farfalla la guardò negli occhi e non poté celare la sua disperazione. C’erano cose inevitabili, che non si potevano nascondere e lei doveva affrontare la dura realtà.
– Io sto morendo –
L’aquila la guardò incapace di emettere suono.
– Il mio ciclo vitale si sta concludendo, le farfalle vivono solo un’estate, ma la mia è stata davvero una bella estate, indimenticabile, grazie a te.
– Ma tu non puoi morire! Ci sarà pure un modo per allungare la tua vita, deve esserci!
– Non credo, sai, non ho mai sentito di una farfalla sopravvissuta all’inverno
– Io troverò il modo di farti superare l’inverno – e nella voce dell’aquila c’era una tale determinazione che per un attimo anche la farfalla ci credette. Era profondamente commossa dalle parole dell’aquila, dai sentimenti che sentiva vibrare nella sua voce e che vedeva in fondo ai suoi occhi.
Da quel momento l’aquila non la lasciò un minuto se non per andare a cercare le mille e mille cose che sperava potessero strappare la sua compagna al suo destino. Le portò gocce di rugiada per dissetarla, tenere piume strappate dal suo petto per tenerla al caldo, rubò il miele alle api per nutrirla, le raccontò favole stupende per farla addormentare. Nei giorni e nelle notti di bufera la protesse con il suo corpo e la scaldò con il suo amore. La vegliò, la accarezzò dolcemente e, in silenzio, pianse e pregò Madre Natura perché vivesse. Quel piccolo essere aveva cambiato la sua vita e non si rassegnava a perderlo. Non poteva pensare di tornare alle sue lunghe giornate solitarie, non riusciva ad accettare l’idea di doversi separare da lei e si domandava come avesse fatto per tutto quel tempo senza la sua presenza nella sua vita.
I giorni e le notti passarono. Ci fu la pioggia, il vento, la neve, il gelo. La farfalla restava nel suo rifugio al caldo, protetta dal grande corpo dell’aquila e dal suo amore. Una bella mattina un raggio di sole prepotentemente squarciò le nubi e illuminò la cima della montagna. La neve lentamente cominciò a sciogliersi lasciando intravedere una tenera, sottile erba verde chiaro. La primavera era tornata, la lunga notte invernale era finita.
La farfalla aprì gli occhi, si riscosse da quel lungo, profondo torpore che era stato l’anticamera della morte. Si guardò intorno e vide l’aquila china su di lei che la osservava con ansia e tenerezza.
– Buongiorno – le disse con un sorriso e sentì un nuovo calore pervaderle il corpicino.
– Buongiorno a te – rispose l’aquila riuscendo a stento a contenere la felicità, – Ce l’hai fatta –
– Ce l’abbiamo fatta, senza di te non sarebbe stato possibile: io ti devo la vita.
L’aquila la guardò fino in fondo al cuore.
– Non mi lasciare mai – le disse soltanto.
Il sole era ormai alto nel cielo di quel nuovo, incredibile giorno di primavera.