Preceduta da un immaginifico armamentario di bauli, cassapanche e specchiere, da una gigantesca voliera con dentro un superbo pavone dalle penne cangianti dal blu brillante al verde smeraldo e da una scimmietta dall’aria insolente, agghindata con un tutù da ballerina e con in capo una coroncina da principessa, Heuropa non sarebbe di certo, in nessun luogo, passata inosservata.
In quell’ardente pomeriggio di un Agosto meridionale la strada, bianca e polverosa, si presentava deserta, da nord a sud e da est ad ovest, ma il trambusto provocato dal passaggio degli innumerevoli carri aveva destato la contrada apparentemente addormentata nella siesta pomeridiana.
Dai pertugi delle imposte socchiuse, per preservare la freschezza degli interni dall’invadenza del sole, Heuropa, però, poteva facilmente intuire sguardi indagatori e bisbigli sommessi.
Qualcuno più ardito aveva fatto brevemente capolino all’affaccio del balcone per ritirarsi subito con stampata in volto l’espressione di rimprovero severo di colui che, ingiustamente destato da un meritato riposo, si ritrova suo malgrado spettatore di qualcosa che non lo riguarda.
La carovana procedeva spedita in una nube soffocante di polvere bianca che andava coprendo i bagagli accuratamente sigillati ma sprovvisti all’esterno di qualsiasi protezione, ed imbiancando, come fine strato di pan di zucchero, i conducenti dei carri.
La scimmietta, annoiata di dover incedere su una passerella priva di pubblico, sventatamente aveva tentato di inerpicarsi sul primo carro, arrampicandosi lungo una ruota per risalire fin sul pianale ma, miseramente, era poi caduta a terra, finendo tra le zampe di un cavallo che, scartando di lato, aveva ribaltato tutto il suo carico.
Il cavallo dietro andò ad incespicare nel carro rovesciato.
E così per tutta la fila che seguiva, in un devastante effetto domino.
Impaurita, ma illesa, la scimmietta rea di aver provocato tutto quel caos, era corsa a rifugiarsi nel grembo amico di Heuropa che, con qualche difficoltà, si ritrovò a dover discendere dalla carrozza padronale senza l’ausilio del predellino.
I nitriti isterici dei cavalli, le bestemmie esecrabili e le giaculatorie irripetibili dei carrettieri e, sovrastante su tutti, lo sgradevolissimo paupulare del pavone, avevano dato pretesto ai curiosi di fuoriuscire dalle proprie case, forniti dell’alibi altruistico di un aiuto pratico.
Ben presto lo sterrato, bianco e polveroso, si animò di voci e di corpi.
Heuropa, ferma vicino alla sua carrozza con in braccio la scimmietta tremebonda, fu presto circondata da una piccola folla di bambini e di signore, mentre gli uomini, come detta la creanza e la civiltà, si erano immediatamente mobilitati, senza perdersi in vane chiacchiere, a prestar soccorso.
Tirare su i carri. Rimontare le ruote. Recuperare i bagagli.
E, prima di ogni cosa, tentare di chetare lo stonatissimo pavone che andava frantumando i timpani di tutti col suo verso stridente.
Heuropa, nel frattempo, intesseva rapporti di buon vicinato con le comari, le nonne e la maestrina del paese, finché, fra tutte quelle, la più pratica e la più amichevole, la invitò ad accomodarsi nel fresco del suo salottino.
– Per ristorarvi almeno con una limonata, dal momento che il caldo non dà tregua. E tranquillizzare questa creaturina – disse accarezzando la scimmietta – che pare abbia subito un bello spavento –
Con gratitudine Heuropa accettò l’amichevole offerta, apprestandosi di buon grado a presentarsi e a rispondere alle inevitabili curiosità del suo auditorio.
– Heuropa…che nome bizzarro. Originalissimo per altro – dichiarò la comare più amichevole mentre le versava, in un calice pretenzioso, la limonata.
– Mio padre era italiano. Mia madre francese. La nonna materna era di origine polacca. Mio fratello maggiore è nato in Grecia. Io sono nata al confine tra Spagna e Gibilterra. Da qui l’origine del mio nome. E lei, invece – disse indicando la scimmietta – è Giselle. E proviene dalle lontane Americhe. Le sto insegnando a danzare – spiegò mentre Giselle, già rinfrancata, si esibiva intrepida in un impudico inchino, tra i gridolini delle signore e gli entusiasmi dei bambini.
– E vostro marito è con voi? Avete figli?- osò, curiosa, la comare più anziana.
– Non ho marito signora. O meglio lo avevo. L’ho smarrito durante il cammino. In quanto all’aver figli…ho lei, Giselle. E’ la mia bambina. Ha un carattere affettuoso ed una intelligenza eccezionale. Andiamo molto d’accordo –
E a sottolineare quell’ottimo rapporto stampò un bacio sulla fronte rugosa di Giselle, che la contraccambiò con un verso scimmiesco ed un abbraccio appassionato.
– E cosa fate nella vita? Se è lecito chiedere – s’informò, con un largo sorriso, la padrona di casa.
– Scrivo. Favole per bambini e romanzi per adulti – puntualizzò Heuropa.
– Ed è possibile conciliare entrambe le cose? – domandò, arrossendo, una comarella pallida.
– Non sono affatto inconciliabili, ve lo assicuro. I bambini non sono altro che uomini in nuce – rispose l’ospite ridendo.
– E come mai siete capitata in questo posto sperduto? – s’intromise la maestrina.
– Non ci sono capitata. L’ho scelto di proposito. Ho esigenza di tranquillità per la stesura del mio ultimo romanzo. Una trama complicata che richiede molta concentrazione e così, care signore, mi è stato raccomandato proprio questo posto. La casa che andrò ad abitare comprende un podere molto esteso dove potrò allevare i miei purosangue, fare lunghe escursioni a cavallo, dilettarmi a portare il mio pavone al guinzaglio, e lasciare libera Giselle di scorrazzare a suo piacimento e di arrampicarsi sugli alberi. La vostra cittadina gode inoltre, all’estero, di una straordinaria fama. Niente omicidi. Niente furti. Niente ingiustizie. Insomma, nessuna di tutte quelle brutture di cui ormai sono insozzati tutti gli altri posti. Prodiga, inoltre, di una ospitalità squisita di cui io ora sono, in prima persona, testimone e che ricambierò al più presto, appena mi sarò sistemata nella mia nuova casa – concluse Heuropa nel prendere congedo.
La lenta processione di carri, con la carrozza padronale in testa, aveva appena finito di defluire, scomparendo all’orizzonte, che già era in atto il nevrotico lavorio di riscontri e congetture, sull’identità della nuova arrivata.
In questo farneticamento elucubrativo il contributo maschile fu davvero prezioso.
Gli uomini, che avevano aiutato a rimettere in sesto la carovana, avevano così avuto modo di soppesare i bagagli e valutare lo stile degli arredi.
Le grandi specchiere barocche, la spalliera oltraggiosa del letto, con raffigurazioni di quelli che parevano essere satiri e ninfe, e gli sgargianti divani di seta viola, volgari orpelli del salottino di una maitresse. E i conturbanti effluvi di quel profumo sessuale che sprigionava dai bauli ermetici degli abiti e della biancheria, non lasciavano dubbi sulla vera identità della scrittrice.
– Chiama bambina la sua scimmia, tiene al guinzaglio un pavone, e ci ha raccontato di aver smarrito il marito lungo il cammino – sottolineò stridula la comare più amichevole.
– E cosa dire della sua professione? Scrittrice di favole per bambini e di romanzi per adulti! Ah bè, certo, partendo da quel suo nome bislacco e dalla sua inverosimile storia genealogica, direi che la signora non difetta certo di fantasia – aggiunse caustica la comare più anziana.
– E cosa pensare di quella sua affermazione sui bambini che sono gli uomini futuri? E’ una frase riprovevole – rincarò, stavolta senza arrossire, la commarella pallida.
– Ma non ci vedo una insensatezza in questo. I bambini diventano poi uomini. E’ un fatto naturale. Incontrovertibile. Forse non intendeva dire altro. Nessun doppio senso – rischiò timidamente la maestrina.
– Parli così perchè non hai visto i suoi bagagli. E’ una svergognata – salzò dal fondo una robusta voce maschile.
– Letti lussuriosi e specchi peccaminosi. E quel profumo lascivo che sprigiona dai suoi bauli. Come zolfo dal fosso del diavolo – rincarò un compare ancora visibilmente emozionato.
Prese allora la parola il decano, per l’epilogo conclusivo. Nel religioso silenzio dell’intero conclave.
A lui spettava il verdetto finale.
– Concittadini, vi dico che quella donna porterà solo guai. E’ una minaccia incombente sull’integrità morale della nostra sana comunità. Una presenza sgradita ed inopportuna, destinata comunque solo ad un breve soggiorno, perché come già meteorologicamente preannunciata questa sarà un’estate torrida e presto inizieranno a divampare incendi. –