Orsola, alla morte del mago, invano viene iniziata alle tecniche acrobatiche del trapezio, perché quel suo corpo solidamente strutturato con seni pesanti, natiche sode e fianchi marcati, si è rivelato assolutamente refrattario all’apprendimento dei segreti del volo.
Teme la negligenza dell’aria cosicché, nonostante le imbracature e le contro imbracature, penosamente annaspa rattrappita nel vuoto con le dita uncinate al predellino, terrorizzata dalla forza di gravità ed in completa dissonanza col ritmo festoso dell’altalena.
La piccina ha un corpo compatto, privo di sfumature. Ha sporgenze oltre misura di seni e di fianchi, ed ossa pesanti. E’ una leonessa, non una farfalla. Ha sentenziato Madame Malia nella prerogativa del suo ruolo d’indovina, dopo aver assistito all’ennesimo fallimento acrobatico di Orsola.
E cosa possiamo farne di lei? Ha chiesto Doctor Garras nella duplice veste di domatore di fiere e direttore del circo.
Quello per cui con un corpo simile si nasce: la puttana. Ha risposto prontamente, e senza dover consultare la sua sfera di cristallo, Madame Malia
Così Orsola, immantinente, è passata dai tecnicismi sull’apertura delle braccia a quelli sull’apertura delle gambe.
Facilmente potremmo sorridere del pragmatismo a doppio senso di Madame Malia, sulla sua sottolineatura che pur sempre di arti si tratta, e che storcere la bocca non giova allo stomaco, perchè è risaputo che se lo stomaco si lamenta si lamenta tutto il resto.
E non stiamo qui neppure a sparar giudizi su ciò che è morale e su ciò che non lo è.
Morale è mangiare tutti i giorni. Questo sentenzierebbero in coro unanime se fossero interpellati, a tal proposito, gli artisti del Grande Circo Planetario che, sovente, a causa dei capricci di fattori esterni, climatici o territoriali, o per l’ostilità preconcetta verso le genti nomadi, si ritrovano senza pubblico e col piatto vuoto.
Madame Malia in persona, che in un bordello è stata concepita, istruisce Orsola sui rudimenti del sesso, senza però troppo influenzarla, consapevole che ogni donna affina le arti in base al proprio carattere ed alla propria predisposizione.
Ma sono queste lezioni aperte, dove ogni componente della famiglia circense ha il dovere di contribuire, con l’apporto della propria esperienza e della propria professionalità, all’educazione sessuale della giovane Orsola.
Naora, l’esile contorsionista asiatica, le ha svelato gli artifici per rendere snodate le ossa e consenzienti le vertebre; Doctor Garras, le ha insegnato il linguaggio universale del frustino; Rirì e Frederik, gli acrobati, l’hanno introdotta alla sottile arte della complicità; Yuri, il nano epilettico, le ha raccontato la malinconia del sesso solitario; Ines, l’ incantatrice di serpenti, l’ha istruita sui segreti retroattivi dello stordimento ipnotico.
Grandi e generosi maestri ha avuto Orsola in questo periodo oscuro della sua vita, quando è ancora orfana di un cognome e senza il retaggio di una storia.
Ma quella piccola attività di meretricio, consumata con discrezione sotto una tenda adibita all’uso, frutta quegli ottimi guadagni che gli spettacoli nell’arena mai avrebbero reso.
Ed in fine sempre di arte si tratta. Così tacita la sua coscienza, Madame Malia. Ed è questo che va di continuo rammentando ad Orsola nei momenti difficili in cui, volontà e morale, entrano in conflitto.
L’arte vera, bambina, quella universalmente riconosciuta, non si basa su teoremi filosofici ma su risultati concreti perché è, nella sua essenza, al pari della matematica e dell’astronomia, una scienza esatta.
Orsola, non essendo capace di contrapporre alcuna antitesi alla dialettica da imbonitrice dell’indovina, facilmente si lascia irretire dai discorsi programmati e consolatori di Madame Malia che si premura, altresì, di esprimerle la propria riconoscenza nel riservarle il pasto più abbondante e la coperta più calda. Giunge persino, la domenica di una fredda Pasqua, a regalarle un suo drappo rosso che un tempo era stato un magnifico scialle di Persia.
Se la penuria ottunde i sensi, ed indebolisce l’intelletto, danni non meno gravi ne procura l’abbondanza, quando l’appagamento appesantisce le carni ed illanguidisce la mente.
E’ esattamente quest’ultima la disgrazia che s’abbatte sulla famiglia del Grande Circo Planetario dove al suo interno, individualmente, si va smarrendo l’identità originale, biografica ed artistica di ognuno, a favore di una collettiva, più oscura e maligna, ancora in embrione, ma che ad un’attenta analisi non lascia presagire nulla di buono.
Ed i segnali ci sono tutti.
Orsola è diventata la solida fonte di sostentamento a cui attingono tutti.
Caduta la finzione dell’allestimento del tendone multicolore del Circo, ci si limita ad issare solo il suo tepee, che non ha bisogno di strombazzature pubblicitarie, né di alcun altro richiamo, dal momento che la fama la precede con garanzia preventiva del tutto esaurito.
Che si stia perdendo per strada è evidente, seppur nessuno vuol prenderne atto.
Così Rirì e Frederik, gli acrobati, passano il tempo oziando nei saloon, assuefatti alle carte ed alla rissa; Naora, ingravidata da Doc Garras, trascorre le sue giornate in un silenzio solitario ed accusatorio, nell’amarezza contemplativa del suo ventre enorme; Ines, in balia di una depressione aggressiva, si è disfatta dei suoi innocenti rettili per consacrarsi al veleno corrosivo del wisky; Doc Garras ha venduto, in un unico pacchetto, i suoi leoni asfittici e Yuri, il nano epilettico, ad un giovane imprenditore di spettacoli di nome Buffalo Bill, perché ora la sua nuova attività consiste nel montare di sentinella al tepee di Orsola nelle ore in cui è impegnata nella sua arte.
E sono davvero troppe ore.
Così lei, alla fine, si è ribellata rifiutandosi a chi ha già pagato, ed ecco che il frustino intimidatorio di Garras torna a sibilare, come ai vecchi tempi, per sottomettere la leonessa alla legge del domatore.
Madame Malia, che tanta influenza ha avuto in queste vicende, merita un inciso a parte, testimonianza ulteriore di quando virtù e peccato si sovrappongono, così che la coda del diavolo può benissimo essere vista come la fune dell’angelo, secondo l’angolatura da cui sbirciamo. E, dal suo angolo di visuale, Madame Malia ha chiaramente visto il baratro nel quale stanno tutti precipitando, e pur respingendo con fermezza l’addebito di una sua colpa personale nel destino di Orsola, e nello sfacelo morale che ha travolto la famiglia del Circo Planetario, ( ma concediamole il credito della buona fede perché, col tempo, ha finito lei stessa col creder vere le sue fanfaluche filosofiche) non può ignorare la realtà oltraggiosa del frustino col quale Garras tenta di sottomettere Orsola e, come una furia, gli si avventa contro, tramortendolo al suolo con la sua sfera di cristallo.
Una sfera pesante della storia di tanti destini.
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