LA CATTIVA SORTE
E accadde che, a partire da un imprecisato momento, tutte le iatture della cattiva sorte pareva si fossero date appuntamento davanti la porta verde mela del negozio di Veronica Sorrentino. A dir la verità il tutto era iniziato in maniera blanda e all’apparenza casuale, nulla che facesse sospettare qualcosa di preordinato da una volontà di dolo ma piuttosto d’attribuirsi a deprecabili, stupidi atti di vandalismo spiccio, bravate adolescenziali oppure causate da qualche bicchiere di troppo. Era questa la spiegazione che aveva dato Veronica per il fiorire delle scritte oscene sui muri del negozio e per l’insegna divelta a sassate. Ma quando una mattina trovò la porta scassinata e Van Gogh legato al trespolo, ubriaco fradicio e in preda alla febbre del disorientamento, e tutta la produzione di piante e fiori decapitata a colpi di roncola, allora fu costretta a prendere in considerazione l’ipotesi del dolo. Sporse denuncia contro ignoti, rimise in ordine tutto, e per una settimana si predispose a dormire nel suo negozio. Non accadde null’altro di spiacevole in quelle notti di veglia e neppure nelle seguenti, e così rassicurata riprese la vita di sempre con l’eccezione di portarsi a casa il pappagallo,(che dopo quell’esperienza traumatica avrebbe sofferto di depressione e perdita dell’orientamento) perché troppo spavento s’era presa di vederlo sbandato e delirante, indifeso, e non riusciva a perdonarsi di non averlo protetto a sufficienza. Di non aver vigilato, nel modo giusto, su di lui. Veronica rimosse ogni traccia degli atti dei vandali, ripulì il negozio dalle scritte oscene e dalle spoglie dei fiori recisi, e si prodigò a far ritrovare a Van Gogh la fiducia e il senso dell’orientamento. Per un certo periodo non accadde più nulla. Tutto rimesso a nuovo “Il fiore del mio giardino” risplendeva in quella sua rinascita, che molte erano state le dimostrazioni d’affetto ricevute dai clienti locali e da quelli esteri, espresse anche con generose donazioni in denaro che Veronica, però, con infiniti ringraziamenti aveva restituito, perché a risarcire i danni aveva provveduto l’assicurazione.
UN’ILLUMINANTE CONVERSAZIONE
Garfield: « La vostra attività, signora Sorrentino, come voi stessa avrete avuto modo di valutare, è diventata il bersaglio prediletto di tutti i balordi di New Eden, che con l’intenzione palese di danneggiare voi danneggiano però anche me. Non voglio indagare i motivi per cui siete fatta oggetto di tanto accanimento, non sono affari miei, ma voglio proporvi una soluzione per liberarvi da questo impaccio e poter io ritornare alla serenità dei miei affari che in quest’ultimo periodo, per colpa vostra, non godono certo di buona salute.»
Quando Max Garfield aveva fatto il suo ingresso, il negozio era vuoto, così come sarebbe rimasto fino all’ora di chiusura, disertato dai clienti intimoriti dalle minacce dei balordi.
Un’atmosfera desolata permeava il negozio, con Van Gogh appisolato sul trespolo e le poche piante superstiti genuflesse in segno di resa. Veronica stessa, vestita di nero e seduta nella penombra con le mani in grembo, di quella resa pareva l’emblema.
L’irruzione improvvisa di Max Garfield aveva però avuto il beneficio di ridestarla dall’incantesimo a cui lei pareva soggiacere, ristabilendo un contatto con la realtà.
Le ci vollero però alcuni minuti per capire appieno il senso delle sue parole, che già lui aveva tirato fuori il carnet degli assegni, sicuro che Veronica, stavolta, avrebbe accettato la sua offerta.
Garfield: «Signora Sorrentino, offro la stessa rilevante cifra che a suo tempo avevo proposto al vecchio proprietario di questa baracca, ma che, invece, per un’antipatia immotivata nei miei confronti ha preferito svendere a lei. Sono perfettamente al corrente, signora, della somma ridicola con la quale avete rilevato questa attività, perché il vecchio ci ha tenuto a farmelo sapere. Accettando questa mia generosissima offerta ci avrete così doppiamente guadagnato, perché allo stato attuale, e con la pessima pubblicità di cui ultimamente godete, non credo troverete altri acquirenti. Voi vi togliete dall’impaccio, e io integro il vostro esercizio nella mia impresa; addobbi floreali per cerimonie. Ci guadagniamo entrambi.»
Veronica: « L’ipotesi che io non voglia vendere non vi ha sfiorato neppure per un attimo?»
Garfield: « A qual fine mantenere in vita un’impresa in perdita? Soprattutto, con quali finanziamenti? L’assicurazione non pagherà una seconda volta, non sono enti di beneficenza quelli, non risarciscono le vittime del malanimo, che è questa, a quanto pare, la causa della vostra disgrazia.»
Il tono, canzonatorio ed insieme malevolo, di quell’affermazione, l’aveva così sgradevolmente colpita che le balenò alla mente l’ipotesi che poteva essere lui il capo di quella congiura, ordita per espandere la sua attività.
Veronica: «Ma venendo a cadere il muro divisorio del mio negozio, il vostro esercizio andrà direttamente a confinare con il sexy shop di Perez. Non lo trovate più così sconveniente? Mi sembrava che fosse questo il vostro assillo, la vostra missione: evitare la contaminazione del sacro col profano. Dio e il Diavolo a così stretto contatto! Siete certo di volervene assumere la responsabilità?» Chiese maliziosa.
Punto sul vivo Garfield, replicò con un freddo: «Questo è un problema che non vi riguarda.»
Veronica: «Mi riguarda, invece, perché sospetto che di quello che mi sta accadendo ne sappiate molto più di quello che date ad intendere, e così, nel dubbio, potrei vendere a Perez, anzi svendere, solo per farvi un dispetto. Ecco un’ipotesi che non avete preso in considerazione e per la quale dovrete rivedere la cifra del vostro assegno, se volete evitare a voi stesso il trauma di uno spiacevole dejavù.»
Senza dargli il tempo di una risposta, lo prese sotto braccio e lo accompagnò alla porta con l’esortazione di valutare la sua proposta, ma in tempi brevissimi, o altrimenti avrebbe interpellato Perez.
Veronica: «Perché, signor Garfield, dopo questa illuminante conversazione sono certa che voi comprenderete la mia fretta d’interporre quanti più chilometri possibili tra me e la cattiva sorte.»